domenica 27 maggio 2012

Che t'importa se fuori piove. Tu vai.


Tu la domenica la lasci nello spazio compreso tra una fragola e una risata. Ti siedi a tavola come se niente fosse immaginando la coreografia di un film che non è ancora avvenuto, ma tu lo pensi lo stesso, lo senti dentro di te, vedi la realtà distorta che si piega su una triste realtà incupita da un cielo nero. E sta per piovere.
Il solito pranzo domenicale, le solite discussioni a tavola, il telegiornale che non recita niente di nuovo e niente di buono, i falsi sorrisi e i perbenismi interessati. La tua testa sta per scoppiare mentre imbocchi la prima forchettata del piatto caldo. Non sai se ridere o se piangere, ma in fondo sai che non ti manca niente, che so, hai aria nei polmoni che ti permette di respirare, hai ancora occhi per vedere le bruttezze del mondo e altrettanto hai occhi per vedere quello che di più sincero ti si presenta davanti agli occhi.
E poi cosa riesci a vedere? Riesci a scorgere che l'amore è ancora nell'aria nonostante ti passano davanti milioni di scene orrende, e quel mare è ancora lì che ti aspetta perchè vuole regalarti qualcosa di decente.
Ti prendi la premura di capire gli altri mentre nessuno si è mai preso la premura di scorgere quello che c'è nella tua testa. Avevo pensato che il cuore è un organo magnifico ma non sapevo bene come funzionasse ma ho sempre creduto che la sua magnificenza fosse un capolavoro della natura, o di Dio, o di chi per lui lo avesse inventato. E sentivo che il cuore pompasse sino allo sfinimento, impazziva per l'odore delle fragole nel frigorifero, impazziva per le vertigini che sentivo nel cervello quando chiudevo gli occhi e per un secondo non pensavo a niente, al vuoto, al nulla sospeso nel baratro dell'indifferenza generale.
Impazziva per lo scorrere del tempo mentre tutto intorno sembrava non mutare minimamente. Impazziva per qualcosa che oramai era passato, ma in fondo il passato era la cosa migliore che ci potesse accadere nella vita.
Avevate mai pensato al passato come se fosse il frutto esemplare del presente, o lo avete sempre immaginato come monito di ricordo, di sofferenza e di inquietudine?
Il passato era sempre stato visto con suprema superficialità : "Quando ero piccola stavo meglio"- "quando studiavo al liceo era meglio dell'università"- "quando l'Italia andava bene la mia famiglia era ricca". Tutto era diventato un "quando", tutto si rifletteva nel passato come se il futuro, il presente, non potessero offrire niente di buono alla vita di ognuno di noi. Ma non ci avevo mai pensato in diversa prospettiva. Non avevo mai pensato alla storia del corso e ricorso che permetteva ad ognuno di rivivere il bene e il male più e più volte nella stessa vita. Ed era lì che si celava il mistero dell'esistenza dell'uomo : il vivere e rivivere sempre le stesse cose, più trasformate, più belle, più brutte. Ma riviverle a nostro piacimento ogni volta che lo desideravamo.
Eravamo maghi in una terra sconfinata, avevamo la possibilità di viaggiare, di vedere luoghi sconosciuti o di rivedere sempre gli stessi paesaggi ma con occhi diversi. Potevamo immergerci per ore nella vasca da bagno sognando un mondo all'altezza dei nostri ideali oppure potevamo buttarci dal quinto piano di un palazzo ponendo fine ai nostri dissapori. Avevamo la fortuna di fare tutto ciò che desideravamo eppure lo sprecavamo inghiottendo bocconi amari che incrementavano la nostra rabbia.
Eravamo pazzi in mezzo ai pazzi, strani mischiati al dolore di una nostalgia che nessuno avrebbe mai capito, e la delusione maggiore che ci portavamo dietro e dentro era quella di non riuscire ad essere chi avremmo voluto essere. Mai. Allora preferivamo chiudere le amicizie, preferivamo ignorare chi ci amava, volevamo tutto e non conquistavamo niente. Scalavamo le montagne ma si rivelavano solo colline. E tu eri talmente insoddisfatto dalla voglia di non essere che eri senza neanche rendertene conto. Perdevi tempo dietro una ex fiamma che non capiva quanto valessi, ti sposavi con una donna che non sapeva neanche quanti fratelli avessi o che musica ti piacesse, facevi figli per sentirti uomo ma eri solo un piccolo peter pan che non capiva bene qual'era il senso della vita. Ed io, restavo immobile a sospirare su quel muretto sperando che tu arrivassi da un momento all'altro a rallegrami la giornata. Io ero quella che non si era arresa, quella che ci aveva creduto, io ero quella che credeva ancora alla felicità e la sognava ad occhi aperti nonostante il pessimismo le invadesse le arterie. Eravamo quelli che si rassegnavano alla giornata negativa ma che spaccavano l'aria a furia di gridare. Eravamo quelli che non importava la meta, ma il viaggio. 


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