sabato 31 marzo 2012

Sporcami di sole.

Avevo mai considerato il fatto che tutti gli esseri umani fossero uguali tra loro per qualche stupido tratto?Tutti su questa terra soffrivano per amore, avevano il cuore spezzato, infranto in mille piccoli pezzettini, tutti si credevano forti ma cadevano sul primo scoglio invisibile, tutti e dico tutti erano fragili a modo loro. Io ero una povera illusa, m'illudevo costantemente che esistesse una via di fuga da questa vita stretta che mi teneva in catene prigioniera del mio essere. Riflettevo sotto il sole, sola, sempre. Avrei mai cambiato questa vita? E se non fosse stato così come sarebbe andata a finire? Non era il futuro a spaventarmi ma quello che poteva offrirmi, le sofferenze che poteva riservarmi anche sotto quel beato sole che apparentemente sembrava mi volesse bene veramente. Ma in realtà niente mi voleva bene, neanche io volevo bene a me stessa, me ne fregava poco, ero cresciuta per scoprire che il menefreghismo è la migliore forma di comunicazione. Io attraverso il mio incespicare riuscivo a capire dove stessi sbagliando e dove non potevo mettere i miei piedi. Sognavo un mondo fatto di persone che non potessero mai deludermi e invece sembrava che le delusioni arrivassero una dietro l'altra, nelle piccole cose, in quei fiorellini che avevo respirato con tanto ardore, con tanta passione e con tanta credulità. Ti pare che io possa affogare in un mare di nostalgia fatta di momenti che per colpa degli altri io non posso più rivivere? Era proprio così, non si potevano rivivere certe cose, e la gente per quanto mi continuasse a dire che la colpa non era di nessuno, e che gli eventi accadevano e basta io mi rifiutavo di crederci, io tra me e me pensavo seriamente che un perchè doveva esistere a tutti i costi. Mi fulminò un raggio di sole mentre rientravo a casa stamane e mi disse che lo sbaglio era stato solo lasciare la porta aperta. Bisogna custodire gelosamente quello che si ha, bisogna curarlo, dargli attenzioni anche quando chi le riceve non le desidera. Ma io mi sentivo troppo bruciata per fare cose che sapevo già non sarebbero servite a niente. E chissà come apparivo realmente agli occhi degli altri io con quelle mie ustioni così evidenti. Chissà cosa pensava Alessia nello specchio ridendo di me. Sicuramente avrà detto che sono la solita adolescente piena di sè e piena di ego tanto da non vedere oltre il suo naso. Tutti ridevano di me, tutti condividevano con me quel dolore, quella passione, tutti tranne me. Avevo deciso di smettere di scrivere, avevo deciso di abbandonare il campo, e forse chissà questo sarà l'ultimo post. Il lieto fine non esiste, esistono solo le delusioni, esistono le paranoie, la vita. Esiste la vita nuda e cruda che spacca in due e se non sei forte ti spezza e ti lascia a terra sanguinante. E io cosa volevo fare? Come volevo finire? Non lo so. Non lo sapevo realmente, ma sapevo solo che dovevo smettere. Dovevo smettere con tante cose. In questo momento volevo solo una passeggiata sotto al sole, ma so, che anche quella non sarebbe mai arrivata e che io anche oggi avrei gettato lacrime inutili su un pavimento che oramai sapeva come consolarmi. 

domenica 25 marzo 2012

Cambia la forma ma non la sostanza.

Ci siamo persi in un bicchiere e ritrovati in un naufragio.- F. M. Dostoevskij.
Delle volte mi emozionavo o meglio mi mettevo a piangere rileggendo le cose che scrivevo. Perchè mi rendevo conto che ero io a scrivere quelle cose, era il mio cervello che sbatteva all'impazzata, era il mio cuore spezzato dalla vita che soffriva veramente in quel modo oscuro e macabro. Ero io quella che ancora credeva che l'amore potesse travolgerla come un uragano. Ero io quella che ancora immaginava di stendersi sulla spiaggia a scrivere di se e di uno sguardo accanto a lei. Non avevo mai provato odio per niente se non per me stessa. Mia madre mi ripeteva sempre sin da quando ero adolescente che se non siamo noi ad amarci non possiamo pretendere che gli altri ci amano. Per un paio d'anni ci credetti, dopo smisi e mi resi conto che l'amore quello vero, non quello tra due fidanzati, l'amore in ogni sua forma si manifesta a prescindere dal fatto che io mi ami o meno. Io odiavo una parte di me, mi sentivo condannata a quel senso di oblio finito, eterno, che avrebbe vagato per sempre in un mare in tempesta senza concedermi tregua, senza darmi un attimo di pace e di quiete. Avrei mai visto l'arcobaleno dopo la tempesta? Sarei mai riuscita a trovare la strada giusta per arrivare a casa? Era come se tutto intorno a me prendesse forma : il mare di colpo divenne calmo, azzurro, limpido, la primavera lo aveva pervaso dei suoi mille colori. Il cielo d'improvviso era opaco, sereno, caldo quasi ad offrirti un abbraccio che nessun'altro ti avrebbe mai regalato. I fiori nei loro mille colori parlavano e bisbigliavano tra di loro mentre io continuavo a camminare fra loro, mi giudicavano, ridevano di me, alcuni si dispiacevano per la mia anima, altri invece vedevano l'assurdità del mio malessere non concependolo. Le api s'impigliavano tra i miei capelli sperando di suscitare in me una reazione, sperando che io mi gettassi per le strade del mondo. Ma gettarsi all'impazzata non avrebbe mai risolto nessun problema. Smisero anche loro di provarci. E mentre mia madre sfogliava l'iPad seduta sul divano, io ero lì, a meno di un metro di distanza, seduta al tavolo, che piangevo, logorata da un ansia che non mi permetteva di respirare. E nessuno si accorse di quanto stavo male. Dovetti farmela passare da sola come ogni santa volta. Dovetti fare finta di niente, asciugarmi il trucco, prepararmi la solita camomilla e berla bollente aspettando che il mio corpo ritornasse a vivere. Mezz'ora dopo aver pianto mi resi conto che i momenti peggiori passano lo stesso, ma non significava che io li avessi superati. Mezz'ora dopo mi resi conto che continuavo a parlare con me stessa e continuavo a soffrire di un qualcosa che non avrebbe mai avuto un nome. Era tutto così difficile a volte. Leggevo spesso, leggevo cose assurde e mi resi conto che ero io la pazza in mezzo alle persone normali e non viceversa. Fui convinta per molto tempo che i pazzi fossero gli altri e che io fossi la classica persona fuori dal normale. Poi capii che ero io ad essere la normale, strana persona. E capire quello implicò che la mia vita cambiasse, che io mi ribellassi ad essa, che essa mi scavalcasse, mi uccidesse e mi lasciasse in una pozza di solitudine con i capelli bianchi strappati. Il tormento non mi abbandonava, ed io lasciavo che penetrasse dentro di me ogni qual volta lo volesse quasi come se io e lui facessimo sesso. Lui mi stuprava l'anima. E io lasciavo che lo facesse senza opporre resistenza. Lui mi derubava delle cose migliori, degli attimi perfetti ed io lasciavo che lui frugasse verace dentro di me con le sue mani sporche di rabbia. Riuscivo a sentire anche in mezzo alla gente in rumore dell'aria, l'odore dell'ossigeno. Ce la facevo e mi stupivo di me stessa. L'aria passava alle mie spalle ridente ed io non sapevo se guardarla impaurita o se provare gioia nel poterla osservare. Ma la mia mente stava male, era come se tutto parlasse, anche le cose più improbabili. E il solito flash back di quella strada soleggiata e di quelle margherite bruciate dal tempo tornavano vive dentro di me. Volevo la spiaggia, volevo l'amore, volevo provare la felicità. Era chiedere troppo. Un attimo di felicità in cambio di un esistenza danneggiata. 

Spiegami come (...) !

Io ero una di quelle persone che faceva finta di niente, che ti guardava sorridendo anche quando dentro piangeva, che scriveva per soffrire di meno, io ero una di quelle persone che riusciva a perdonare tutto e tutti, riusciva a perdonare che qualcuno le avesse messo le mani addosso, riusciva a perdonare i tradimenti peggiori, le infamie, ero una di quelle persone che sorvolava sulle cose serie e sulle cose futili per non mettere in imbarazzo i suoi nemici. Me ne resi conto mentre piangevo come una pazza e mi chiedevo come mai la gente nonostante tutto questo mio essere vero, sincero, gettato lì e regalato, ancora non avesse capito niente di me. Continuavo a farmi domande, continuavo a sperare in qualcosa di migliore, ma la vita mi regalava attimi e mi rubava la vita. La sua stessa vita, la vita se la rubava ed io ero incazzata nera con me stessa. Mi guardavo allo specchio e lei rideva, lei mi guardava e rideva beffarda di quello che io stavo vivendo dall'altra parte, lei rideva ed io piangevo, lei stava bene ed io la odiavo. La guardavo con gli occhi bassi quasi a vergognarmi di me stessa, ma lei non era me, era fuori di me, ormai si era costruita una vita ed io ad essere rimasta indietro, a piangere con le braccia conserte davanti lo specchio mentre il mondo mi passava accanto ignorandomi. Avevo tanto odiato la solitudine che ero stata colpita da quella malattia che avevo tanto odiato e detestato vivendola indirettamente accanto ad una persona. Mi sentivo presa in gira, sentivo che la sottana e il suo spacco erano arrivati al cuore, che il cuore era tagliato a due quasi come se avessi due polmoni e due cuori. Ma due cuori nello stesso petto non battono bene, si distruggono, s'innamorano diversamente, percepiscono le cose in modo diverso, si scontrano e uno dei due uccide l'altro se non entrambi si uccidono a vicenda. In quella me avevo visto quella che ero, che si batteva per ogni cosa, che cercava l'emozione della giornata, che si preoccupava se gli altri stessero bene, se il mondo girasse in senso orario esatto, se il tempo era corretto e leale con lei e i suoi cari. In questa me avevo visto una persona lacerata e consumata nello stomaco da un veleno che inesorabile e ineluttabile continuava a scorrere dentro il mio corpo senza ucciderlo, lo rendeva debole, lo rendeva fragile più del cristallo. Mi aveva reso me, era la mia coscienza che parlava, era la voce interiore che sbatteva un po' di qua e un po' di là. Avevo bisogno di sognare, avevo bisogno di vivere una vita normale come tutti gli altri, volevo provare per un po' la brezza della monotonia associata al mio essere e all'essere vero di qualcun'altro. Ma come sempre io volevo e la vita non voleva. 

venerdì 23 marzo 2012

Era la coscienza a divorare tutto dentro.

Le persone piangevano perchè nonostante andassero in televisione non riuscissero a trovare un ragazzo. Un fidanzato. E in quell'istante mi venne in mente che i miei occhi non supportavano lacrime da molto, troppo, tempo. Era facile per una donna dire "vado coi piedi di piombo". Ma poi noi abbiamo i piedi fragili come le margherite di campo. Per noi poi è difficile fare finta di niente. Non ci riusciamo proprio ad essere forti e menefreghiste. Se ti tremano le gambe, ti tremano e basta. E c'è poco da fare. Ma mi chiedevo cosa fosse la normalità. Forse era la mia banale vita rintanata tra quattro mura a scrivere, a perdermi nei miei pensieri che toccavano il soffitto e non riuscivano ad evadere e ad andare oltre. O forse la normalità scadeva nella banalità delle poche riflessioni che le persone applicavano alla loro vita quotidianamente. Non lo so. Vero, non sapevo più niente. Pensavo a mille cose durante il giorno, cercavo di evadere la notte ma alla fine mi ritrovavo con un pugno di mosche nelle mani. Alla fine mi ritrovavo come una gazza che urlava e scappava qua e la sperando che il suo tormento interiore si placasse. Io non lo so come sarebbe stata la mia vita, ma ne ero terrorizzata. E se fossi rimasta per sempre nella solita cerchia della monotonia? Avrei preferito morirne prima e non viverla. Mi sentivo scoppiare la testa in alcuni momenti come questo. Volevo scappare, scendere di casa ed iniziare a correre all'impazzata lontano dai miei pensieri, volevo correre più veloce di loro. Ma non ci riuscivo. Ero bloccata. Aspettavo sempre che qualcuno o qualcosa si svegliasse e venisse da me. E non si poteva continuare così. Il malessere non era più qualcosa legata alla banalità dell'azione compiuta o rimasta in sospeso. Il malessere veniva da dentro, il veleno scappava qua e la e di tanto in tanto si fermava, ma c'era e non riuscivo a toglierlo. Fuori c'era il sole e dentro c'era così tanto buio che io stavo per esplodere, stavo per urlare a squarcia gola. Mi domandavo se fossi io a non capire quello che accadeva tutto attorno, o se veramente fossi sola in mezzo ai pazzi. C'era troppa indifferenza e troppa banalità in questo mondo e a me non stava più bene. Iniziavo ad odiare questa maledetta ipocrisia, iniziavo a non volermi rassegnare e quindi qualcosa cresceva dentro di me furiosa in preda all'impeto di voler uscire fuori e di farla finita. Non riuscivo più a tacere nonostante le mie labbra sembrassero incollate con la colla. Continuavo a scrivere ovunque. Scrivevo frasi campate per aria e gettate lì dove tutti potessero leggerle e non capirle. Scrivevo monologhi, scrivevo nel mio cuore pensieri che forse nessuno avrebbe mai voluto ascoltare. Ma io continuavo a farlo. Arrendersi era una scelta da vigliacchi. E io non ero così, non potevo permettermelo. Preferivo soffrire, scappare, restare sola ma non arrendermi. Proprio questo mi ha portata oggi a lasciare che una lacrima solcasse il viso e arrivasse proprio sul petto, proprio sul cuore. Era arte allora mi tremarono le mani. E smisi di piangere. Smisi di arrabbiarmi e mi affidai alle ore, al tempo, allo spazio. Forse poteva ancora sorprendermi. Forse questa pelle poteva ancora liberare sogni e scaricare emozioni, o meglio, poteva (forse) incollarsi ancora. 

Mi sentivo malata. Malata di me. 


Sogno come la vita.

Avevo tante cose da dire, da fare ma rimasi impassibile per scelta mia. Mi piaceva ascoltare quello che aveva da dirmi. Magari per qualcuno era solite frasi convenzionali che si dicevano che so ad un primo appuntamento, magari erano cavolate ma per me no. Per me era un respiro d'aria buona, quella percezione di libertà che si scaricava ovunque, nei colori, nei fiori, persino in quel cielo opaco. C'era una magia lassù che pochi potevano percepire veramente. Sentivo poco, non mi preoccupavo di come sarebbe stato, di cosa sarebbe stato o per quanto sarebbe stato. Pensavo solo che doveva essere, pensavo che i miei sogni erano passati dal via, finalmente avevano visto una strada. Non sapevo come sarebbe stata quella strada, non sapevo che cambiamenti avrebbe apportato alla mia vita, come l'avrei presa d'ora in avanti, non sapevo niente eccetto il fatto che potevo sognare veramente come volevo senza ostacoli. Avevo il vizio davanti alle cose belle di chiudere gli occhi e non funzionava più così. Avevo imparato nelle cose più belle a lasciarli socchiusi affinchè potessi vedere realmente quello che succedeva attorno a me, quello che succedeva sulla mia pelle, quello che avevo addosso. Pensavo che tenendo gli occhi chiusi avrei immaginato meglio, ma è vero che quando la realtà è meglio dell'immaginazione non c'è niente da capire, non c'è niente da fare. Te la vivi, la vedi, la senti. Io la sentivo sulla mia pelle, calda, strana, profumata. Una persona mi disse pochi giorni fa che la primavera era il risveglio, che non la si poteva odiare. Caspita, ci aveva preso. Dopo tanti anni passati ad odiare questa stagione, avevo voglia di gettarmi tra le violette, di colpo fare lunghe passeggiate e respirare un aria diversa non era opprimente, non mi rendeva infelice.Stavo bene. La felicità era ancora lontana, era un traguardo che non sapevo se sarebbe mai arrivato o meglio non sapevo se esistesse veramente. Ma quella bellezza imbarazzante mi regalava l'armonia mettendomi al posto giusto. Ed io dovevo solo esserne grata. Avevo sentito parlare milioni di persone negli ultimi giorni, sentivo dire cose assurde sul fatto che la mia città stesse cadendo in degrado sociale e culturale, avevo sentito dire che la frustrazione nasceva dall'odio, nasceva dall'insoddisfazione lavorativa, avevo sentito dire che i rimpianti erano frutto di ricordi malsani. Sentivo che la gente sorrideva per finta, che la simpatia la creavano dal nulla, dal voler essere quello che non si era. E quindi, era tutto finto? Esisteva ancora qualcosa di vero in questo mondo. Parlavo ancora con persone vere? Non sapevo più niente, ero caduta in crisi. Ma quelle crisi da bisogno di evasione, quelle crisi mistiche che puoi risolvere solo con le parole, che puoi risolvere solo scrivendo, dando vita ai pensieri, realizzando sogni. Forse era una crisi che si poteva sanare solo con la voglia di sanarla realmente, con la voglia di mettere le paranoie e le convenzioni da parte e vivere. Ed io avevo fame di vita. Non di vita monotona. Volevo vivere le emozioni sulla pelle, sempre. Anche quando non era possibile. E dovevo fare diventare l'impossibile, reale. So che ce l'avrei fatta, dovevo solo crederci. E se stavo iniziando a farlo era solo grazie a me. Ero cresciuta a pane e sogni. 

giovedì 22 marzo 2012

Un colore sulla pelle ♥

Tornando a casa stasera, scorgevo la desolazione della mia città. Vedevo le vetrine così colorate, piene di abiti stupendi che prima o poi avrei comprato anche io, così primaverili, così caldi da infilarsi dentro. E riflettevo come fosse bella la mia città di notte, silenziosa, lontano da tutto quel parlare che sapeva fare la gente. Vuota. E pensai che di meglio non potevo avere. Avevo quel mare silenzioso, quella notte che scendeva lenta ma veloce su di me. Avevo quel cielo pieno di stelle tipico segno di belle giornate. Tipico segno della primavera oramai arrivata. L'inverno era andato via, ed io me ne resi conto guardando i colori dei fiori lì a capocolonna. Quel sole opaco che riscalda, quella brezza che ti passa tra i capelli e non ti lascia il tempo di pensare. Facevo un accenno con la mano per rimetterli in ordine e lui subito li scompigliava nuovamente. Non avevo il coraggio di girarmi perchè m'imbarazzava la sua bellezza. Ero imbarazzata da quanto fosse bello. Ma mi piaceva il fatto che sognare fosse un arte comune che lasciava libero sfogo ad un volo di gabbiani sul mare, ad un onda che si scontrava con gli scogli e la baciava violentemente. Sembrava fosse un'altra realtà, sembrava non esistesse niente se non la volontà di sognare. E ancora sognare. E poi sognare un altro po'. E mi domandavo guardando quelle immense distese d'erba verde come sarebbe stato bello gettarsi la in mezzo, respirare la natura che si lasciava contaminare dai miei sospiri. Come sarebbe stato avere un foglio e una penna in quel momento. Scrivere tutto quello che mi passava sulla pelle, che mi faceva sudare le mani, che mi riempiva gli occhi di brina. Come poteva essere fare l'amore su quel prato. Liberi. Senza paura di ogni convenzionalità. Liberi dal proprio corpo, pieni di brama, forti di passione. Allora mi girai insieme ad un riflesso del sole e capii che bastava poco per stare bene. Bastava uno sguardo attento alla strada, bastava una frase "questa strada ti da la sensazione del viaggio" per capire che quando io guidavo e sola fotografavo quella strada sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui qualcuno mi avesse detto quello che io avevo già immortalato con la mia fotocamera. Il mondo laggiù era pieno di colori, c'erano odori e sensazioni che sapevano di nuovo, sapevano di terra ed erano rimasti incontaminati. Nessuno andava a passeggiare tra le margherite, nessuno chinava la testa e le guardava più. Ma io ero lì, e guardavo ogni cosa minuziosamente quasi a volerla stampare nella mia testa per sempre. Quasi a volerne portare il profumo sul collo affinchè qualcun'altro potesse respirarlo tramite me. E la stessa cosa con più delusione mi accadde stasera mentre guidavo. Sentivo un irrefrenabile vuoto dentro me che mi lacerava lo stomaco e lo apriva vorticosamente con le mani quasi a farmi male ma allo stesso tempo ero pervasa dalla sensazione che qualcosa ancora doveva cambiare, qualcosa ancora stava cambiando ed io dovevo resistere. Resistere. E ancora resistere. Ma a cosa? Per cosa? E soprattutto, quando? La pazienza mi stava abbandonando e la speranza era solo quella di trovare la pace attraverso quei discorsi infiniti gettati di sasso di tanto in tanto tra una sigaretta e un sorriso. Già, perchè delle volte bastava un discorso per farmi sognare, per farmi cambiare prospettiva di vita, per farmi vivere attraverso la vita, attraverso i sogni degli altri. E rivedevo in me la passione per la scrittura, la voglia di sfondare per essere quello che si era sempre sognato di essere. Rivedevo la tenacia mista alla conformità, sentivo che il mio sogno non era solo mio ma qualcuno credeva fosse possibile e qualcuno aveva avuto il coraggio di iniziare. Era l'inizio la parte più dura ma sentivo che ce l'avrebbe fatta, era bravo, sapeva come fare, aveva vissuto abbastanza per poter iniziare a raccontare di sè. Ed io avevo visto la felicità nella tormenta. Lo scintillio nella disperazione, il sole nella pioggia. La speranza nel dolore esistenziale. Mi guardavo le mani e vedevo su di esse una voglia di non fermarsi davanti a niente. Guardavo dentro me e vedevo poco e niente, ma quanto bastava per capire che delle volte non bisognava fermarsi ma continuare ad andare senza tornare mai indietro. E mi piaceva. Mi piaceva la variazione della mia giornata anche solo per un respiro. 

mercoledì 21 marzo 2012

I was born to love you, with every single beat of my heart!!Happy Birthday mOm !!! I love 'U!!

Un bacio negato sotto il sole.

Denied a kiss under the sun, in front of my sea, was left there to destroy all hope of love. I had searched so long for something that did not exist. But what was it love? It was better not to have received that kiss? I would change my life? There remain many doubts in a sea of cuttings.

Era mattino, il sole da poco si era levato in cielo, l'introspezione della notte si faceva ancora sentire, lasciava la scia come a segnare il suo territorio e a non volerlo abbandonare neanche per 12 ore. Per tutta la sera prima un senso d'angoscia e d'inquietudine mi aveva assalito quasi come volesse uccidermi da un momento all'altro. Ed io ero rimasta seduta ferma, impassibile, davanti a cotanta disperazione. Mi erano venute alla mente delle cose che era meglio non ricordare. Persone che non c'erano più da tanto tempo, sorrisi persi, strade oramai inesistenti, sogni infranti e morti sull'asfalto. Diciamo che il mio stato d'animo non aiutava certo la mia ansia nel petto che pulsava all'impazzata. Avevo aspettato per tutta la sera un colpo di scena che non era arrivato e mi sentivo una bambina guardandomi dentro e vedendo come quella famosa parola chiamata speranza vivesse dentro di me, annidata e radicata da così tanto che neanche io sapevo di averla ancora. Già, ero speranzosa, avevo brama di amare, amare a modo mio qualcuno che non sarebbe mai arrivato, qualcuno che forse neanche esiste. Ma dovevo concedere a me stessa il diritto alla speranza nel caso in cui questa persona esistesse già. Era tutto così' strano, l'arrivo della primavera aveva portato un subbuglio interiore non indifferente. La gente per strada fiera di se nelle loro imperfetta vita, i ragazzini per la strada con le biciclette che imparano a fumare sotto i miei balconi le loro prime sigarette. La signorina del palazzo accanto che arrivata a 15 anni viene dietro casa mia per dare il primo bacio al ragazzo amato. Neanche lei sa che quel ragazzino le spezzerà il cuore. Il sole che irradia il mare e si rispecchia negli occhi di un gabbiano sognante. Ed io? Io ero ancora qui dannatamente a scrivere della mia solitudine ferma. Io cosa stavo aspettando? Che ebrezza volevo provare? Non lo so, ma sono sicura che stavo aspettando la stranezza fatta a persona che mi cambiasse la vita. Credevo ancora alla possibilità che qualcuno oltre a me stessa potesse veramente cambiare la mia esistenze e stravolgerla in ogni modo possibile. Non avevo bisogno di essere salvata, avevo bisogno di affogare insieme a qualcuno nel baratro del tormento interiore per poi trovarsi in fondo a ridere in due. La gente continuava a fraintendere, continuava a pensare che io fossi solo una ragazzina troppo viziata che aveva bisogno di un uomo. Ma non era così, non era l'esigenza di un uomo, l'esigenza era di una persona fedele a quello che io rispecchiavo nella sua anima quando i nostri corpi s'incontravano. E non era cosa da poco. Per me sarebbe stato tutto. Avevo bisogno di questo non di un uomo. A trovare un uomo siamo brave tutte. A fare la differenza io ero esperta, esperta nel restar sola.
Volevo un bacio sotto il sole, sulla spiaggia. E mentre realizzo questo mio desiderio, un senso di amarezza mi sale in gola e mi pare d'avere il mare negli occhi. 

martedì 20 marzo 2012

Ai miei cari amici degli Sparks Around !


Il rock non è altro che una traduzione dei suoni brutti e irrazionali dell'ambiente industriale in linguaggio musicale.
Ed è proprio quello che vogliono trasmettere gli Sparks Around, un gruppo musicale di giovani artisti emergenti crotonesi che mescolano poesia e musica rock.Alla chitarra Alessandro Calvo, al basso Salvatore Parise, alla batteria Daniez Lombardo e il cantante, che combina al meglio voce rock e melodica, Andrea Astorelli.
La loro musica affonda le radici nel miglior rock anni ’70 e prende sfumature psichedeliche, cross over e blues, il nome del gruppo nasce in modo simpatico e spontaneo dal quartiere o meglio ancora dal garage del chitarrista, dove lui e il bassista si incontrano tutte le sere da circa 10 anni; ed il significato è proprio “Scintille Intorno”.Scelta innovativa quella di adottare la lingua italiana nel rock per trasmettere meglio il loro messaggio, ovvero quello di protestare contro ciò che di degradante può succedere nella vita di ogni uomo e intorno ad esso.La band  è stata formata nel 2008, quando dopo aver trovato il giusto sound, con una partecipazione attiva e significativa da parte del batterista che viene dal cross over, esce il loro primo album : “L’Era Decadente”.Da tempo si esibiscono in vari luoghi della Regione Calabria e il 15 maggio parteciperanno al Contest Nazionale –Bside di Cosenza.
Un mix perfetto quello di combinare musica rock con testi italiani molto forti, sentiti, che non offrono soluzioni ai drammi esistenziali che la vita quotidianamente pone davanti ad ogni singolo individuo, bensì proprio perché musica, offrono una via d’uscita dalla monotonia, dalla solita routine.Un modo per tendere gli orecchi e lasciare che sia la musica a fare il suo dovere nell’animo di ogni persona senza troppi sforzi.A dimostrazione che il talento esiste ancora, che la città di Crotone produce talenti all’ordine del giorno che non evadono per cercare il successo ma anzi, restano e danno il loro contributo per far vedere che il risvolto della medaglia in questa città c’è.
Quale miglior modo se non attraverso la musica per esprimere la decadenza in cui l’uomo è caduto nel corso degli anni?Qualcuno sosteneva che la musica fosse la melodia dell’anima e a quanto pare con questo gruppo emergente questa frase ci ha preso parecchio, il talento c’è e si vede, la voglia di esprimersi, di trasmettere e anche di coinvolgere è presente negli Sparks Around.
Al giorno d’oggi, presi dalle solite problematiche, dai classici affanni, dalle solite inutili polemiche, cercare l’evasione è sempre più difficile; scoraggiarsi invece, per la povertà che affligge il nostro territorio, per la mancanza di alternativa, per la poca partecipazione popolare ad ogni forma di innovazione di vario tipo invece, è la via più facile.La musica offre un’alternativa, la musica permette di credere che ancora sia possibile che il talento venga premiato, venga ascoltato ma soprattutto che lasci un barlume di speranza a chi ha un sogno nel cassetto e intende perseguirlo ad ogni costo.Crotone rinasce attraverso la voce di un giovane che crede in quello che fa, si emoziona per il suono di una chitarra e si perde in un intramontabile rock misto alla vera poesia, alle emozioni che suscitano le dita posate su di un basso, alla tenacia e alla grinta di un batterista.E’ possibile credere che questa città produca talenti veri, originali che fungano da balsamo per le piaghe di un territorio gettato nello sconforto e nella desolazione personale e popolare.
E sono proprio gli Sparks Around che si fanno testimonial di un rock fatto di proteste, arrabbiato e in progetto di fermare l’offesa più grave che si possa fare alla nostra intelligenza di esseri umani, al nostro diritto di esprimerci come vogliamo e al nostro desiderio di realizzazione personale.
Jimi Hendrix diceva che “Un giorno anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra” e indubbiamente questo talentuoso gruppo ne è a dimostrazione in un ambito più piccolo e oserei dire limitato ma che comunque evade rompendo gli schemi e i bigottismi tradizionali della nostra città.
 Alessia Barresi


 
 

Ed io quel mondo l'ho abbracciato.

Giocavo in mezzo ai matti mentre il resto del mondo se ne stava fermo immobile ad aspettare che io facessi un passo falso. Avevo quella maledetta ape tra i capelli che continuava a farmi correre all'impazzata, a farmi girare su me stessa, a strapparmi la pelle di dosso; e lei non andava via, aveva preso casa tra i miei capelli un pò bianchi, un po' stanchi, e adesso troppo corti.
Esisteva ancora gente che parlasse di lanterne, lanterne di sogni? Ma cos'era un sogno? Se chiudevo gli occhi riuscivo a percepire cosa fosse un sogno, quale era il mio sogno. Tutto si perdeva nell'attimo in cui riuscivo a fare respiri profondi in cui sentivo la vita che mi penetrava nelle ossa, s'insidiava nella mia colonna vertebrale e mi bruciava il veleno che io volevo lasciare a circolare ancora un po' dentro al mio corpo.
Quel veleno a me caro, quelle ossa oramai violentate, quel cuore oramai stuprato e ridotto in brandelli di cera sciolta sotto al sole. Ma il sogno era chiudere gli occhi mentre fuori il cielo era pieno di nuvole e riaprire gli occhi dopo 2 minuti e rendersi conto che c'era un raggio di sole sul pavimento della tua stanza, proprio lì, sotto ai tuoi piedi. Era un miracolo. Era un miracolo che vedessi il sole proprio quando la speranza era sparita per sempre. Stavo sognando ancora, tra meraviglie e disgrazie e vivevo nel caos totale, nel caos calmo che all'impazzata lottava per ogni cosa e per ogni persona.
Allora sognare non aveva prezzo, sognare consisteva nel socchiudere le palpebre e lasciare che l'amore entrasse da ogni piccola o grande apertura, ma quel carcere era solo ben arredato. Le sbarre c'erano e nessuno le vedeva e il problema sostanziale stava diventando proprio questo : nessuno si accorgeva che c'erano delle sbarre, che la porta era chiusa a chiave e quella chiave non l'avevo di certo io che ci vivevo dentro. Immaginavo che a nutrirmi fosse l'aria contaminata che proveniva dalle finestre scure e con poco sole, e farmi respirare fosse il mio cuore pieno di amore, avevo bisogno di trovare qualcuno da amare forse più di me stessa o almeno quanto me stessa. Volevo innamorarmi e tutta quella condizione di ricerca mi infleggeva la pena più grande, la solitudine. Una persona una volta mi disse che se nella vita impari a farcela da sola hai vinto, altra gente invece mi diceva che chi perdona ha vinto nella vita. E io a me stessa cosa dicevo? Continuavo a domandarmi se la scelta che stavo facendo era quella giusta, se mi piaceva ancora sognare attraverso uno sguardo, una carezza, attraverso gli occhi socchiusi mentre baci la persona che ti piace. Quello era sognare o solo mettere in pratica un desiderio? Le mani sul mio petto, l'odore della pelle, la percezione che tutto quello che io volevo era lì senza complicanze e che mi portava a stare bene, poteva bastarmi? Avrei iniziato dopo un po' di tempo a cercare di piu' o avrei vissuto sempre come se tutto fosse un inizio? Si vive bene d'inizi, ci sono emozioni e sensazioni che nessuno capisce, che poche persone riescono a provare. Un mondo pieno di superficialità non ha mai aiutato l'animo ribelle di chi invece ha bisogno di evadere dai soliti schemi e ha bisogno ogni giorno di trovare nuovi confini da scavalcare. Non era logica, era amore. Amore per quello che la vita ti donava giorno dopo giorno. Amore per la passione di un arte, di un emozione. Amore. Solo Amore. Se tutto fosse così facile vivremmo meglio, ma si sa che le anime tormentate devono entrare nel loro stesso tunnel, devo poter provare a cambiare la realtà. Si sa che le anime che credono in qualcosa vengono spinte dal senso del dovere verso se stessi e verso quello in cui credono. Avevo sepolto la logica per lasciare che la mia vita prendesse la piega emozionale che per quante volte mi avesse potuto deludere so già che non mi avrebbe mai abbandonata come il resto del mondo aveva fatto. La mia emozione più grande era essere me stessa controcorrente. Ecco cosa ero, una piccola farfalla che sbatteva le ali contro vento, un puntino, un quasi niente. Ma, è proprio dalle cose impossibili che nascono le migliori opere d'arte. 

lunedì 19 marzo 2012





La tristezza mi pervade in questo bianco corridoio dalle mille porte sprangate,
ma il dolore...
... il dolore lancinante è in quella nera stanza dalla porta mai serrata,
in cui vedo raschiare putrida muffa nauseabonda dalle pareti,
alla ricerca del loro antico splendore che mai fu
perché costruito su menzogne, ricatti ed omissioni!
... Ed una splendida farfalla che danza intorno ad una becera fiammella,
confondendola con l'immensità del sole.
Piange sangue la luna per i suoi figli ormai orfani, abbandonati alla realtà dei loro carnefici.
Tutto il mio violentato amore brucia nell'odio ripudiato per tuo amore.
Ora mi nutro della mia stessa carne ormai solo prigione della mia dannata anima,
ma i miei occhi di lago profumano di mare.


-Paul Mehis  

Fantasticare infaticabilmente per lunghe ore con l'attenzione fissa su qualche frivolo fregio marginale, o su qualche anomalia tipografica di un libro; incantarmi durante quasi un'intera giornata estiva nello studio di un'ombra insolita cadente di sghimbescio sulla tappezzeria o sull'uscio; perdermi per notti intere a contemplare la ferma fiamma di una lampada, o le braci del camino; sognare per giorni e giorni intorno al profumo di un fiore; ripetere monotonamente parole comuni sinché il loro suono, a forza di essere ripetuto, cessava di rappresentare alla mente un'idea purchessia; perdere ogni sensazione di movimento o di esistenza fisica, grazie a una totale rilassatezza del corpo mantenuta a lungo e ostinatamente; queste tra le tante erano le più comuni e meno perniciose divagazioni prodotte da uno stato delle mie facoltà mentali non ancora in verità del tutto ineguagliato, ma che certo sfidava una qualunque possibile analisi o spiegazione.
-Edgar Allan Poe  

Una normale, strana persona ♥

C'erano solo quattro farfalle un po' più dure a morire. Perchè c'è una bella differenza tra esistere e vivere. Io esisto perchè vivo, ma vivo perchè altrimenti resterei sempre nel solito giro noioso di vite. Spesso si parla di "percorsi storici" ma le persone comunemente usano termini più grandi delle loro conoscenze. Una volta mi posi la domanda di cosa fosse un percorso storico e come si dovesse affrontare giorno dopo giorno. E la risposta arrivò in una mattina d'estate, mentre il sole già altro filtrava dalla persiana, mi sveglia, stranamente felice (cosa che non accade da un bel po' di tempo) e mi resi conto che la mia vita andava avanti per inerzia, per lo scorrere del tempo e non per quello che io determinavo giorno dopo giorno. Ecco lì ebbi la risposta, il percorso storico siamo noi ad attuarlo ogni giorno, siamo noi con le nostre difficoltà, con i nostri sacrifici. Con la nostra passione.L'uomo tendenzialmente associa la parola passione ad un istinto prettamente sessuale e carnale, io invece la passione l'ho vista in tante cose, la trovo in ogni cosa. In un bacio, in uno sguardo, nelle mie dita che tante volte partono sole sulla tastiera e scrivono di getto ogni cosa, con amore, io metto passione anche nel farmi una doccia. E forse è proprio questa la chiave di volta di questa noiosa vita : mettere passione, ardere come fuoco in ogni cosa che si fa. Passava il tempo e mi rendevo conto che non era cambiato niente dentro me ma che tutto era terribilmente diverso intorno a me. Come poteva essere accaduto che io ero rimasta ferma sullo START mentre il mondo volgeva quasi al traguardo? Come potevo aver permesso che i miei affanni avessero preso il sopravvento sulla mia stessa vita? Sono quelli i momenti di tormento che non ti lasciano fiato, ti fanno terra bruciata intorno a te, ti rendono sterile, fragile, emotivamente instabile. E fu lì che capii che la depressione cosmica derivava da una necessità di urlare, urlare in faccia al mondo quello che non andava bene. Forse non si sarebbe mai trovata una soluzione ma sicuramente sarebbe stato liberatorio lasciare che ogni cosa venisse gridata con rabbia e con convinzione. Ed erano quei giorni in cui mi resi conto che l'ipocrisia della gente mi faceva del male al cervello, era un cancro che s'insediava lentamente nella mia testa e non mi lasciava vivere come io desideravo. E quella scelta di andare controcorrente, quella scelta di lasciare che il mondo andasse in un modo e che io prendessi una direzione opposta. E quanto mi è costata quella scelta, quante sofferenze ho incontrato sul mio cammino e quante ne incontro tutt'oggi. Ma che fare? Adattarsi sarebbe stata la scelta sbagliata per quelle come me. Io ho bisogno di grandi amori e di grandi passioni, ho bisogno di tanta fisicità e di tanta mentalità, ho bisogno di presenze vere e non di stupide convenzioni. Io sono una di quelle che ti da l'anima anche se tu in cambio non le dai nulla o quasi. Io sono quella che crede in ciò che fa anche quando tutti intorno la criticano. Sono una di quelle che mangia perchè ama mangiare pensando che la linea sia una stupidaggine. Sono una di quelle che con la passione e la nostalgia ci convive ogni giorno, che si fuma mille sigarette, che ama la vita ma allo stesso tempo la condanna per averle inflitto la pena della sensibilità innata. Sono una di quelle che riesce a pensare anche col cervello degli altri e ad immedesimarsi negli altri. Sono una di quelle che ama fare tante parole ma anche tanti fatti. Sono una di quelle che "una carezza vale più di mille scopate". 

To my dear friend, Giuseppe, happy name day! 

I miss'U every day all day.

Always. 

Una storia ♥

Lavorare sul limite. Questo era il nuovo, vero, esistenziale ed esilarante problema.
Quale limite? Da dove partiva? Dove finiva? Come lo si attraversava? Come lo si superava?
Erano troppe le domande che quella notte mi ero posta in preda all'ansia e tra il sonno e la veglia.
Era una produzione di un luogo mai esistito, o forse meglio ancora ero uno spazio temporale che andava oltre quello che io volevo essere e mi spingeva in qualche modo ad essere di piu', a dare di piu'.
Tutto muoveva dal necessario e dal denegato, e nessuno era in grado di capirlo. Stavo iniziando ad odiare il "non detto", tutte quelle cose che la gente si preservava in attesa di qualcosa che ancora doveva arrivare, tutte quelle chiarezze che la gente non voleva dare per preservare il suo alone di mistero. E continuavo a chiedermi che senso avesse continuare a dare un contributo significativo se nessuno poi sapeva veramente quale fosse la mia realtà storica, la mia realtà di essere umano, la mia essenza. Stavo rischiando di restare senza autonomia dell'ideologia e stavo correndo il rischio di non essere capita. Vivevo bene tra cataste di libri, di articoli, tra sogni nel cassetto che mi guardavano intimiditi e forse anche un po' stanchi di restare lì per ancora chissà quanto tempo. Poi arrivava il tormento dell'anima, e lì' ci puoi fare poco.
L'anima mi bruciava dentro come un fuoco violento, avevo voglia di amare, voglia di liberarmi dal solito confine, dal solito limite che non portava le persone ad essere quello che realmente sono. E ogni tanto arrivava una doccia fredda a dirmi "è solo fantascienza Alè, smettila di sognare". Potevo realmente smettere di sognare o dovevo continuare a immaginare la mia vita ideale e a inseguire quel magico sogno? A volte mi sentivo un "modello" ma di scarto. Quelle volte in cui le mie differenze erano in proporzione all'unità formale che tutti si erano precedentemente costruiti.  Ma poi mi consolavo dicendo a me stessa che erano scarti 'relativi' a dei modelli relativi che non tutti avrebbero capito.
Non mi spiegavo come fosse possibile che qualcuno mi avesse condannata a così tanta sensibilità e perspicacia e che nessuno mi avesse messo allo stesso tempo affianco una persona che potesse fare lo stesso con me. In alcuni momenti diventava un chiodo fisso questo pensiero di restare relativamente soli a capire, comprendere e scrutare gli altri mentre nessuno si prendeva la briga di capire ME.
Mi svegliavo in forma e mi deformavo attraverso il RESTO, proprio come diceva una delle mie scrittrici preferite. Ero lì ma era come se non ci fossi, e nonostante la mole risultavo sempre trasparente e mi ero resa conto che questo vuoto esistenziale non derivasse dal non sentirsi accettata, come capita a molti. Tutto questo derivava dalla voglia di conoscenza insaziabile che non si fermava mai. Avevo bisogno di correre con qualcuno che corresse. Avevo bisogno di capire e di intravedere in qualcuno che esistesse ancora un rapporto con il passato, un rapporto con ciò che si era, con quello che si era oggi, e con la determinazione di quello che  si poteva essere continuando a mutare in un mondo che invece tutto voleva tranne che il CAMBIAMENTO.
E il mio cambiamento migliore, quello che di piu' bello potevo offrire agli altri era proprio questo : la mia mente, il mio amore intellettuale, la mia passione associata a quello che di piu' bello potevo ricevere dalla vita, il sogno di sentirmi me ma allo stesso tempo di estraniarmi ed essere sempre una NUOVA ME. 

venerdì 16 marzo 2012

Lettere mai lette.

Ho scritto tanto, anche stamattina diversamente dal solito ho scritto tanto. (sulla mia Moleskine).
Non lo so nemmeno io alla fine cosa ho scritto, che insegnamenti ne ho tratto e cosa mi è rimasto dentro.
Ma credo che dentro resti ben poco quando hai il veleno che brucia ogni cosa che varca quella porta.
Ed è proprio così che accadeva al mio cuore, bruciava tutto, nel giro di un battito di ciglia, lasciava cadere tutto sul pavimento senza che nessuno si preoccupasse di raccogliere i pezzi e di rimetterli assieme.
Nessuno voleva ricostruire niente, io non volevo che qualcuno li raccogliesse, dovevano restare lì a terra, ed io dovevo guardarli ogni volta che ci passavo davanti e rendermi conto che tutto cambiava ma loro erano ancora lì ad aspettarmi. Ci aspettavano ancora. Ma, aspettavano chi?
"Io ti ho scritto tante lettere d'amore, volume uno, due e addirittura tre. E tu non ti sei neanche degnato di leggerle. Io ti ho scritto col sangue quello che provavo e tu non hai neanche colto cosa volevo dirti, come miseramente stavo crollando. Tu non hai mai capito cosa voleva dire il mio amore per te. Ti amavo, ti amo ancora. Ti amo come non amerò mai nessuno nella mia vita e tu non hai mai capito quando importante fosse il mio amore per te. E così lettere mai lette, tempo perso a scriverle, a piangerci sopra e ad aspettare che si riasciugassero le lacrime prima di piegare il foglio, prima di premere <invio> sulla tastiera del pc. Quante notti insonni o quante notti perse a sognare cose magiche che erano solo illusioni della mia mente. Ma tu dicevi di amarmi, dicevi che il nostro amore era eterno, ricordi? INAE ? Eppure niente è stato eterno se non l'indifferenza scatenata dal tempo."
Perdevo tempo, a leggere, ricopiare aforismi, frasi di canzoni, sensazioni d'autore, ma mi sapete dire a cosa serviva tutto questo? Non serviva a niente. Io ero veramente dannata, dannata d'amore, dannata d'odio, dannata di malinconia e nessuno poteva curare questo stato della mia anima. Dormivo e mi sognavo diversa, restavo sveglia e i miei occhi diventavano colore del fuoco magicamente senza sapere il perchè, era la rabbia, era la malinconia che mi accecavano a tal punto da non vedere veramente più dai miei occhi verdi.
Le lacrime scendevano sole, le risate venivano a poco a poco a mancare come quando ti manca la terra sotto i piedi e pensi di cadere nel vuoto. Cosa voleva dire ridere di gusto? Le risate dell'anima, e chi le conosceva più? Stava arrivando la primavera e dentro di me c'era ancora una bufera di neve, fredda, gelida che mi otturava le vie respiratorie, che non permetteva al sangue di circolare bene, che mi tagliava il respiro a due.
Come potevo accogliere quei giorni di primavera che si avvicinavano sempre di più quando la mia anima era fredda, era ancora in pieno inverno. Perchè dannazione il tempo scorreva velocemente mentre io ancora non avevo trovato una soluzione. E dopo l'ennesima lettera mi resi conto che forse io una soluzione non la troverò mai. 


martedì 13 marzo 2012

Parole Inutili.

Una rivoluzione sulla strada del perdono.
Perdonare se stessi, perdonare gli altri per quello che ci hanno fatto e non fatto.
Lasciare che qualcosa ci logori dentro giorno dopo giorno, destino o casualità?
Mi sono persa in un baratro nero dove a distanza di anni vedevo una piccola lucina, credevo che fosse l'arrivo, l'uscita dal tunnel, la 'salvezza', ma sbagliavo. Non avevo capito che chi entra in quel vortice difficilmente ne esce vivo come prima, e quando ne esce è diverso, non è più lui, non ha più una vera identità. Deve ricominciare a cercare il suo posto nel mondo.
Io ero uscita? O mi stavo trasformando restandoci dentro? Non riuscivo a capire quella furia che mi prendeva nel petto e mi faceva urlare con gli occhi pieni di lacrime in silenzio. Non capivo a distanza di tempo perchè la vita fosse stata così dura con me mentre tutto il resto era facile, semplice, assurdo.
Ho comprato il divano nuovo, è comodo, soffice e freddo come me, in pelle. Ho dormito su un cuscino nuovo, ma ho fatto gli stessi incubi della sera prima col cuscino vecchio e molle. Ho preso una televisione ma non è cambiato molto, non la guardo quasi mai, mi annoia. Avrei voluto comprare un cuore nuovo ma mi dissero che non ne vendevano e che sarebbe stato troppo complicato averne uno diverso dal mio. E mi sono rassegnata.
Ti pare normale arredare un tunnel per scoprire poi che si è totalmente soli? Ero sola, piena di ansie e neanche le parole oramai bastavano a colmare quella solitudine atroce.
Avevo tanti sogni nel cassetto ma credo che il mondo sia stato più furbo di me e abbia scoperto dove nascondevo la chiave dei sogni, ha aperto il cassetto e me li ha rubati ad uno ad uno. Così Parigi non è più mia ma di un'altra donna, scrivere è diventato un hobby letto da due o tre persone, dimagrire è diventata un'impresa per gente poco pigra e non per me, sognare, la vera essenza dei sogni appartiene ad altre persone oramai, a me sono rimasti gli incubi e il malumore.
Non c'era conforto che tenesse in piedi questo scompenso, questa frustrazione, questa disperazione, c'era solo una spirale piena di oggetti, piena di ricordi.
C'erano foto, parole, promesse, sorrisi, lacrime, vino a fiumi, sigarette mai spente veramente, rabbia che sprizzava da tutti i pori, malinconia di anni lontanissimi, fanciullezza rubata o forse venduta al primo offerente.
Dannazione, avevo perso così tanto tempo che oramai non sapevo come tornare sui miei passi, mi restava solo da spegnere la luce e aspettare un nuovo inferno domattina. 

venerdì 9 marzo 2012

Vuoto a PERDERE.

"Sei, ti dirò come mai, giro ancora per strada, vado a fare la spesa. Ma non mi fermo più, a cercare qualcosa, qualche cosa di più, che alla fine poi ti tocca ripagare."

Rumori di vita ♥

Stamane sono in vena di raccontarvi una cosa stupida e banale come una canzone.
Mi piace ascoltare Alex Britti alcune volte, e devo dire che pare che in alcuni momenti della sua vita lui abbia vissuto in simbiosi con la mia.
"Agosto è ancora nei miei sensi [...] Chissà dove sarai adesso, dov'è tutto quel sesso, quel caldo e quel sudore, chissà se ancora se pensi al mare, al caldo da morire che non si sente più, chissà se agosto è ancora nostro, se ora splende il sole e poi magari piove, chissà se mai la frustrazione diventa un'emozione così non piove più [...] Piove su ogni mia parola, provo un po' a dimenticare, infatti guardo il mare e non ci penso più."
Questa canzone mi porta alla mente tanti ricordi, tante spiagge che non ho più visitato, tanti posti magici che negli anni seguenti non mi hanno saputo regalare nuove emozioni.
E adesso, è mattino, splende un sole opaco sul mio bellissimo mare, sono rimasta sola a casa, il rumore della lavatrice mi tiene compagnia, il senso di responsabilità mi fa andare avanti.
Tante volte ho pensato a come sarebbe stata la mia vita se quel giorno piuttosto che un altro avessi alzato il culo dalla scrivania e fossi andata via, partita, boom, di botto, in maniera spontanea e assurda.
Chissà dove sarei IO ora!!! E invece sono ancora qui a scrivervi di quanto mi mancano i tempi passati, di quanto la nostalgia tante volte si fa sentire e sembra sia passata una vita dalla mia vita precedente. Eppure il tempo scorre, le lancette non si fermano mai e quando lo fanno è perchè le pile sono scariche ma il tempo con o senza orologi va avanti e prosegue imperterrito.
Mi piace pensare che dal cielo qualcuno si affacci ogni tanto su di una nuvola e si faccia tante risate di cuore guardando come ci struggiamo qui sulla terra, come ci facciamo del male gratuitamente, come siamo ridicoli delle volte e come siamo maturi e seri delle altre. Mi piace pensare che c'è un posto che noi ancora non abbiamo vissuto e che un giorno scopriremo che il Paradiso è un parco giochi immenso dove possiamo vivere felici e spiare la gente sulla terra mandando loro di tanto in tanto qualche segnale per fargli capire che stiamo bene e che siamo vivi in maniera diversa.
E' strana questa vita, mi fa sentire delusa, depressa, a tratti emotiva ad altri molto scarica, ma se c'è una cosa che ho imparato a piano a piano nel tempo è che questa è la mia vita e non posso averne un'altra, devo accettarla così com'è, con le sue follie, con le sue mancanze, con i suoi difetti e forse non c'era niente di più bello che questa mia dannata vita.
E mentre la lavatrice ancora gira e centrifuga all'impazzata ascolto rumori lontani, bambini che fanno educazione fisica nel cortile della scuola sotto casa mia, i muratori che rompono dalla vicina, il rumore delle ventole del computer che oramai andrebbe solo buttato ma che per fortuna sempre fedele non mi abbandona mai. E poi sento il rumore del mio respiro, l'odore del mio respiro. Vi capita mai di sentire il vostro odore? Quello vero, quello che emette la vostra pelle a contatto con niente? A me si, tante volte, mi capita di sentire l'odore della mia pelle dopo che va via il profumo del bagnoschiuma, dopo che il profumo è stato assorbito, e mi piace, mi piace l'odore della mia pelle e del mio respiro, mi sa di affannoso, stanco forse come sempre troppo demoralizzato per vedere il lato positivo che c'è in ogni cosa, anche in esso.
Quando sono sola in casa sento i rumori più strani, delle volte mi fermo e trattengo il respiro per sentire la casa, mi piace respirare casa mia, si bè, non è proprio la mia, ma è il mio nido, è dove mi sono cresciuta, in ogni angolo c'è un ricordo. Pensate che sulla porta della mia stanza ci sono le "tacchette" delle mie fasi di crescita e di altezza.. La prima è la più assurda, la fece la mia mamma quando compii tre anni. E adesso quando mi appoggio a quel muro non solo vedo che manca la tacca di adesso ma mi rendo conto che quella bambina tenera e cicciona non c'è più, forse è rimasto solo il cicciona dei due aggettivi prima citati, e forse quella dolcezza non la ritroverò mai più.
Non ho perso le speranze, ho solo visto che il mondo va diversamente e che non sempre a tutti nella vita le cose vanno per il verso giusto, c'è chi deve affrontare 1000 battaglie prima di finire la guerra e c'è chi invece ne combatte solo 4 o 5 ed ha terminato. Bè, io mi sa che sono in quella fascia protetta dove le battaglie sono 1001. Per fortuna non sono mai sola, Dio è con me, anche quando me stessa mi rema contro e mi ferisce graffiandomi le spalle e la schiena con gli artigli.

mercoledì 7 marzo 2012

Uno stupido gioco di niente ♥


Stava per esplodere qualcosa ma ancora non si sapeva bene cosa fosse.
Aspettare, aspettare e ancora aspettare per poi rendersi conto che tutto era stato vano.
Il sole era andato via, i fiori erano ancora chiusi nei loro boccioli, l'amore correva lontano da me scansandomi a priori.
La gente mi leggeva, mi stimava, ma non mi capiva e io continuavo a urlare in quella gabbia matta senza sonoro.
Tutto attorno a me mi abbandonava lentamente come a voler farmi capire che ero stata io a volere tutto questo.
Perdevo i sogni e mi cadevano dalle mani mentre guardavo il mare ritrarsi alla mia vista.
Ogni cosa si allontanava e tutto intorno a me si faceva nero, terra bruciata.
Avete presente lo Schiaccianoci di Tchaikovsky? Ecco. Quella melodia sono IO.
Scappo da una parte all'altra con le mie bolle di sapone piene di speranze, piene di sogni.
Mi chiudo nella mia solitudine che è tanto cara e tanto amabile e lascio che il tempo cambi rotta e la smetta di perseguitarmi con i suoi ricordi e con le sue avventure.
Sole va via, vento di marzo arriva e cambia l'aria, cambia tutto.
Non voglio più ascoltare inutili parole dettate dal mondo, delle volte c'è bisogno solo di respiri e di attimi, per me quella è la vita.
La gente cammina per strada, alcuni a passo veloce, sicuri di se, altri con la testa bassa un po' goffi, molto insicuri e timorosi di fare anche solo due passi per la strada da soli. Io sono una di quelle che sola non sa camminare, che non si sente fiera e certa di dove va e cosa fa.
Anche quando devo sbrigare delle commissioni non sono mai sicura di quale sia la strada giusta da prendere o dove io debba effettivamente andare.
Mi piace girare a vuoto per scorgere cose che la gente comune non vede.
L'altro giorno ho notato un vecchietto in bicicletta, con la sua coppola, i suoi occhiali da vista e il suo carinissimo papillon, era un uomo d'altri tempi veramente composto.
Un altro uomo su uno scoglio cercava invano di pescare in una giornata dove c'era molto vento e tanto sole.
Altri due uomini invece aprirono il cofano dell'auto presero una chitarra e iniziarono ad intonare Vecchioni.
Meraviglioso non credete?
Adesso tutto fugge lontano, adesso tutto è un inseguirsi che fa male, che stanca, che mette ansia.
Ieri sera mi sono guardata nel riflesso di una pozzanghera e ho capito che non avevo capito ancora niente.
Dovevo essere quella che ero sempre stata, dovevo smetterla di farmi del male convincendomi che ero altro.
In quel riflesso vedevo il veleno e avevo capito che in tutti questi anni, mesi, giorni non avevo ucciso qualcuno di estraneo a me, ma avevo ucciso me stessa e che la resa dei conti stava arrivando, dovevo solo scegliere cosa fare o se non fare niente.
Si puo' impazzire per raggiungere la perfezione?
Forse si, e forse pochi osano andare oltre.
Spero venga giù a piovere oggi, così che io possa dimenticare un po' di amarezze e possa concentrarmi su quello che vorrei essere veramente.
Con un ape tra i capelli mi sono gettata per le strade del mondo, ero impazzita, ero ossessionata da me.
Lo sono ancora oggi. Il dualismo mi ha sempre fatto più male che bene. 

Es-senza ♥

"Neppure nella cosa più importante della sua vita, l'amore era riuscita a raggiungere una meta: dopo la prima delusione, aveva scelto di non abbandonarsi più totalmente. Temeva la sofferenza, la perdita, l'inevitabile separazione. Di certo, erano pericoli sempre presenti lungo la strada dell'amore, e l'unica maniera di evitarli era quella di rinunciare a percorrere quel cammino. Per non soffrire, era indispensabile non amare."
-Paulo Coelho (Brida)


Pensate si possa non amare più?
Forse solo rinunciando ad alcune cose è possibile essere felici.
Immergersi in un abbandono totale non è la chiave per essere quello che siamo.
Avevo rinunciato ad amare, non riuscivo a provare più lo stesso sentimento di una volta, non m'interessa più da una vita credere o provare qualcosa che dopo mi ha solo distrutta.
Ero felice in assenza di amore? Ero ripagata avendoci rinunciato?
Non lo so, era questo il punto. All'apparenza stavo bene ma dentro bruciavo viva.
Mi sentivo in una vasca piena d'acqua con un fuoco sulla pelle che non si spegneva mai.
Ero sotto il sole con gli occhi chiusi che immaginavo volti lontani e sorrisi oramai perduti per sempre.
Guardavo il monitor del pc, e speravo che mi venisse l'ispirazione per quell'articolo di giornale, per quella frase ad effetto nel blog, per quella poesia in inglese che non avrebbe capito quasi nessuno.
Stavo bene ma stavo male.
Avevo l'armonia delle cose intorno a me e il caos calmo dentro me.
Accontentarsi, rinunciare, provare. Avevo sempre odiato questi verbi sin da bambina, ed ero arrivata alla mia età a non tollerarli quanto meno sulla mia bocca.
La gente poi si sa, ne dice di stronzate per apparire quella che non è.
Sentivo gente parlare di matrimonio dopo mesi di fidanzamento, sentivo discorsi infiniti fatti da persone che due parole in fila e in lingua italiana non sapevano neanche metterle, mi perdevo dentro le gridate dei vicini di casa, dentro le polemiche dei telegiornali, dentro la mormorazione della mia città.
E mi sentivo estranea.
Guardavo da lontano chi combatteva per un ideale politico, culturale, sociale, e mi veniva da sorridere e da pensare che tutto quello era un lavoro vano e inutile per la mia città.
Sentivo il chiacchiericcio della gente per le strade, nei negozi, tra amiche tutte si chiamavano "amò" come se fosse normale chiamare amore chiunque avessimo affianco mentre provavamo un paio di scarpe.
Guardavo con ammirazione amiche che oramai hanno imparato il loro mestiere e riflettevo su quanto fossero fortunate ad aver imparato qualcosa, io ero ancora qui a scrivere. Cosa mi restava nella vita a me?
Il bianco e il nero, la carta e la penna, ecco tutto.
E mi veniva più facile essere 'decadente' e 'melodrammatica' per far sì che qualcuno leggesse.
Ero persa nelle innumerevoli paia di scarpe che avevo comprato nelle ultime settimane, alte, basse, scure, chiare. Ero persa nei capelli che lentamente come ogni mese scolorivano, e nel trucco che sembrava sempre lo stesso solco sul viso.
L'espressione non cambiava mai, peggiorava, dentro urlava, piangeva, rideva, non sapeva più dove aggrapparsi, la disperazione dilagava come un veleno che velocemente s'insinuava in ogni arteria.
Stavo morendo dentro o era solo ansia che sarebbe passata in 5 minuti?
Mi sentivo con una personalità sdoppiata e non sapevo se la parte che io volessi essere di me era quella buona o quella cattiva, non sapevo se volevo essere colei che rinuncia all'amore o colei che prova a cercarlo ancora.
Sentivo dentro solo che dovevo soffocare qualcosa e che doveva venire fuori la pazzia, la follia, la tenebra che covavo dentro, e per quanto non lo volessi, fuoriusciva dagli occhi e mi avvolgeva il corpo di un manto diverso.
Dovevo provare tante cose prima di decidere cosa essere, prima di poter morire.
Dovevo ancora sognare molto prima di decidere di smettere. E gli altri dovevano lasciarmi in pace. 


♥ Love in the memory.The love of anything.

LOVE IS ALL WE NEED!!! 

Cantavano i Beatles quando ancora l'amore era veramente quello di cui tutti avevano bisogno per "salvarsi". Adesso di cosa avete bisogno cari amici? Amate ancora l'amore, o adesso l'amore è solo un'idea?ALL YOU NEED IS LOVE e continuavano a giocarci sopra i nostri cantanti del passato, e ad oggi? Ad oggi ridiamo dell'amore, ridiamo delle passione e ci emozioniamo veramente per cose frivole ed inutili. Oggi l'amore è commerciale, oggi l'amore porta il nome delle grandi marche, dei grandi gesti eclatanti, delle passione più sciocche, oggi l'amore NON porta il nome della condivisione. Sarete stanchi di leggere sempre cose romantiche sul mio blog, o forse come so già, qualcuno si è chiesto come mai parlassi di amore nonostante il grande amore mi passi sempre accanto e mai dentro. Bè perchè io amo l'idea che mi sono creata di ODI et AMO, perchè io amo ogni giorno me stessa incondizionatamente e non mi faccio mancare niente. Vi pare non sia TRUE LOVE questo? Vi pare non basti? La gente spesso tende ad accontentarsi, io se potessi eliminerei il verbo accontentare dalla lingua italiana in maniera definitiva e decisa. Come puoi accontentarti di amare? Come puoi, si tu, tu che leggi fare finta che la tua vita vada bene solo perchè hai una fidanzata? Come puoi farti bastare il solito sms del buongiorno al mattino e la solita sdolcinata buonanotte alla sera? Come puoi non ricercare di più? Non desiderare altro? Il cinismo porta avanti le mie parole lo so ma sapete a cosa credo io? Credo che il mio buco grosso come diceva Freccia, non si colma con niente e credo che nella vita devo credere in qualcosa altrimenti sono fritta. E quel qualcosa certo te lo da il fare l'amore, te lo danno gli amici, magari quelli più stupidi con le loro battute sciocche, te lo da il caffè della mamma, ma più di tutto te lo da l'ARTE e la MUSICA. Credo che il buco grosso te lo toppa un po' la musica, l'emozione, la poesia, la scrittura, i dipinti. Ecco cosa credo sia l'amore.E chi pensasse che amore è staticità o monotonia bè si è già condannato a morte da solo. Se pensate che arriva la primavera e tutto cambia non è così, se non si applica il cambiamento dentro se stessi non si otterrà mai niente, non si vivrà bene, non si vivrà in eterno e forse ci si adatterà sempre a situazione che non gli appartengono veramente.E tu, come sei veramente? Sapete cosa c'è? La gente ha paura di restare sola, se solo ci provasse ogni tanto, a guardarsi dentro e ad ascoltarsi veramente, forse a quest'ora non saremmo più felici ma sicuramente meno tristi.