Ci siamo persi in un bicchiere e ritrovati in un naufragio.- F. M. Dostoevskij.
Delle volte mi emozionavo o meglio mi mettevo a piangere rileggendo le cose che scrivevo. Perchè mi rendevo conto che ero io a scrivere quelle cose, era il mio cervello che sbatteva all'impazzata, era il mio cuore spezzato dalla vita che soffriva veramente in quel modo oscuro e macabro. Ero io quella che ancora credeva che l'amore potesse travolgerla come un uragano. Ero io quella che ancora immaginava di stendersi sulla spiaggia a scrivere di se e di uno sguardo accanto a lei. Non avevo mai provato odio per niente se non per me stessa. Mia madre mi ripeteva sempre sin da quando ero adolescente che se non siamo noi ad amarci non possiamo pretendere che gli altri ci amano. Per un paio d'anni ci credetti, dopo smisi e mi resi conto che l'amore quello vero, non quello tra due fidanzati, l'amore in ogni sua forma si manifesta a prescindere dal fatto che io mi ami o meno. Io odiavo una parte di me, mi sentivo condannata a quel senso di oblio finito, eterno, che avrebbe vagato per sempre in un mare in tempesta senza concedermi tregua, senza darmi un attimo di pace e di quiete. Avrei mai visto l'arcobaleno dopo la tempesta? Sarei mai riuscita a trovare la strada giusta per arrivare a casa? Era come se tutto intorno a me prendesse forma : il mare di colpo divenne calmo, azzurro, limpido, la primavera lo aveva pervaso dei suoi mille colori. Il cielo d'improvviso era opaco, sereno, caldo quasi ad offrirti un abbraccio che nessun'altro ti avrebbe mai regalato. I fiori nei loro mille colori parlavano e bisbigliavano tra di loro mentre io continuavo a camminare fra loro, mi giudicavano, ridevano di me, alcuni si dispiacevano per la mia anima, altri invece vedevano l'assurdità del mio malessere non concependolo. Le api s'impigliavano tra i miei capelli sperando di suscitare in me una reazione, sperando che io mi gettassi per le strade del mondo. Ma gettarsi all'impazzata non avrebbe mai risolto nessun problema. Smisero anche loro di provarci. E mentre mia madre sfogliava l'iPad seduta sul divano, io ero lì, a meno di un metro di distanza, seduta al tavolo, che piangevo, logorata da un ansia che non mi permetteva di respirare. E nessuno si accorse di quanto stavo male. Dovetti farmela passare da sola come ogni santa volta. Dovetti fare finta di niente, asciugarmi il trucco, prepararmi la solita camomilla e berla bollente aspettando che il mio corpo ritornasse a vivere. Mezz'ora dopo aver pianto mi resi conto che i momenti peggiori passano lo stesso, ma non significava che io li avessi superati. Mezz'ora dopo mi resi conto che continuavo a parlare con me stessa e continuavo a soffrire di un qualcosa che non avrebbe mai avuto un nome. Era tutto così difficile a volte. Leggevo spesso, leggevo cose assurde e mi resi conto che ero io la pazza in mezzo alle persone normali e non viceversa. Fui convinta per molto tempo che i pazzi fossero gli altri e che io fossi la classica persona fuori dal normale. Poi capii che ero io ad essere la normale, strana persona. E capire quello implicò che la mia vita cambiasse, che io mi ribellassi ad essa, che essa mi scavalcasse, mi uccidesse e mi lasciasse in una pozza di solitudine con i capelli bianchi strappati. Il tormento non mi abbandonava, ed io lasciavo che penetrasse dentro di me ogni qual volta lo volesse quasi come se io e lui facessimo sesso. Lui mi stuprava l'anima. E io lasciavo che lo facesse senza opporre resistenza. Lui mi derubava delle cose migliori, degli attimi perfetti ed io lasciavo che lui frugasse verace dentro di me con le sue mani sporche di rabbia. Riuscivo a sentire anche in mezzo alla gente in rumore dell'aria, l'odore dell'ossigeno. Ce la facevo e mi stupivo di me stessa. L'aria passava alle mie spalle ridente ed io non sapevo se guardarla impaurita o se provare gioia nel poterla osservare. Ma la mia mente stava male, era come se tutto parlasse, anche le cose più improbabili. E il solito flash back di quella strada soleggiata e di quelle margherite bruciate dal tempo tornavano vive dentro di me. Volevo la spiaggia, volevo l'amore, volevo provare la felicità. Era chiedere troppo. Un attimo di felicità in cambio di un esistenza danneggiata.
Spiegami come il lume della notte,come il delirio della fantasia. Spiegami come la donna e come il mimo, come pagliaccio che non ha nessuno. Spiegami perché ho rotta la sottana: uno strappo che è largo come il cuore.
domenica 25 marzo 2012
Cambia la forma ma non la sostanza.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento