venerdì 28 settembre 2012

Non c'è un titolo.

Ero l'esasperazione vivente di un complesso inesistente. Il caldo e l'afa trapanavano la mia pelle quasi come dovessi strapparmela di dosso per il troppo fastidio. Fumavo esasperata quell'ultima sigaretta e mi perdevo.
Il libro 'povera gente' mi aveva lasciato dentro un non so che di magico e malinconico, ma tutto intorno il mio mondo sembra fermarsi e crocifiggersi dentro di me.
Volevo davvero fare una passeggiata e uscire di casa a respirare un po' o erano solo manie di persecuzione personale?
Cosa mi mancava, cosa mi serviva, quale era il tassello che mancava, cosa mi faceva combattere ogni giorno e poi ripiegarmi ogni sera? Cosa? Io non lo so, so solo che fissavo questo schermo e non vivevo, mi sentivo affannata, complicata, adolescente oserei dire.
Io volevo cambiare il mondo con i miei modi di fare, perchè Dio mi aveva complicato così tanto la vita? Non potevo essere una di quelle, che si fidanza, si sposa, lavora e basta? Tutto doveva essere necessariamente assurdo e complicato. Sembrava una maledizione, come quando nascevi e le antiche tradizioni greche narravano se la nascita di qualcuno fosse benedetta o meno dal Padre Zeus e da tutta la sua ridicola combriccola.
Allora  Zeus non aveva creduto o in me? O mi piaceva pensare che ci avesse creduto così tanto da crearmi in modo assolutamente impostato per lottare sola? Cazzate, erano un cumulo di cazzate, non ero una super donna, non ero niente come tutti gli altri. Eravamo buttati così, come in un film degli anni '50, sul ciglio della strada ad aspettare che una speranza ci passasse accanto e ci toccasse la spalla quasi come fosse una fortuna.
Ma mia nonna diceva sempre che chi di speranza vive disperato muore, ed era vero, era tutto assurdamente vero!! Maledizione più crescevo e più andava peggio, mi sentivo in una gabbia che stava stretta sulla mia pelle, mi cingeva i polsi, si attorniava alle caviglie e la gola era stretta, soffocata, quasi impaurita. Ed io respiravo a malapena perchè mi stavo uccidendo.
Avevo timore di tutto, di uscire per strada e sentirmi occhi puntati addosso, timore di vivere, timore di tutto, ma riuscivo a gestire sempre quella vita complicata, a fatica. Io mettevo me stessa a nudo, ci provavo, cercavo di essere sempre al meglio ma diavolo come era difficile, era troppo per me. Pensavo a chi si confidasse con Dio e con rammarico pensavo ai tempi in cui anche io riuscivo a parlarci, diamine era tutto piu' semplice.
Il caffè era sul fuoco, le sigarette erano finite, e la speranza anche oggi non era passata, era come i muratori, alle 4 finivano di lavorare e anche lei, per vederla o percepirla bisognava aspettare un nuovo giorno, e una nuova maledettissima illusione.
Io non avevo bisogno di alibi, ero questa, la mia pelle era sempre la stessa, forse più vecchia o saggia direbbe qualcuno, la mia testa farfugliava cose che non riuscivo a percepire, e la mia ombra era sparita, e il mio cuore era invisibile, le mie mani affannose continuavano a scrivere, e il caffè era pronto ed io non ero pronta.
Soltanto i matti farebbero questa vita, soltanto chi ci crede davvero capirebbe cosa voglio dire, ma poco importa, ognuno ha la sua vita, ognuno ha i suoi bagagli da trasportare ed io avevo i miei ed erano troppi, non ne volevo lasciare a casa nemmeno uno, neanche uno straccio. Tutto doveva venire con me perchè tutto mi aveva reso me.
Non potevo scordare le passeggiate al mare, ma non potevo scordare tutte le volte che ho detto "smetto" e non ho mai smesso. Dovevo essere un monito per me stessa, dovevo capire che ero quella e non potevo fare di meglio in quel momento.
Ecco perchè mi capivo ecco perchè mi desideravo, ecco perchè mi volevo un po' di bene in fondo.
Non ci riuscivo ad essere una di quelle donne che camminano per strada a testa alta fiere di non essere nessuno per se stesse, io per me dovevo essere il meglio che me stessa potesse desiderare, io dovevo vivermi, dovevo ascoltarmi e dovevo capirmi. Altrimenti avrei preferito mille volte farla finita e stroncarmi sul nascere, prima ancora di capire che tutto era impossibile ma allo stesso tempo reale.
E così senza armature mi avviavo in una strada che non era positiva, non era la mia strada, lo sentivo, ma che dovevo fare; dovevo scappare? Stare ferma? Non amare?
L'amore, amore, amore, amore, avrei potuto scriverlo all'infinito, era la mia parola preferita dopo "we".
Amore che mi scoppia il cuore, amore che non so piu' dove andare, amore che mi distruggi ma io corro sempre verso di te, amore, amore e basta, amore e punto. Amore basta, era amore.
Ma quante stronzate che scrivevo o meglio che pensavo? Era grave che le mie mani percepissero la tastiera in modo autonomo, in certi momenti non avevo corpo, non avevo respiro o cuore, avevo solo cervello collegato alle mani, e loro scrivevano e scrivevano senza stancarsi mai.
Io ero un mezzo per il mio cervello, ero il suo strumento preferito, ogni tanto lo erano anche altre persone, di tanto in tanto c'erano amici e amiche che riuscivano a capire cosa dicesse il mio cervello e così nascevano le migliori sintonie.
C'erano persone con cui anche stare in silenzio era amore, dio mio che passione, che orgasmo! Mi divertivo a stare in silenzio oppure a parlare con chi riusciva a capire e a guardare oltre.
Uno sguardo, un po' perso, ma sempre sguardo era. Una sigaretta smezzata, una strada e via! Creazione, ispirazione, riflessione. Era tutto dannatamente bello in quei momenti, era tutto assolutamente magico.
Non potevo creare la perfezione costante, ma potevo ritagliarmi l'angolo di felicità che mi serviva ad andare avanti, ciò che desideravo era solamente possedere in me quella consapevolezza che tutto poteva andare assolutamente bene anche senza strafare.
E partire, scappare, no io non volevo scappare, io volevo viaggiare, sognare, volevo scrivere, leggere, volevo perdermi nelle parole di uno sconosciuto, volevo baciare, ridere, stringere mani, e allacciare sorrisi eterni.
Non erano utopie, erano sogni, era realtà, è realtà, la mia, quella che sarebbe diventata. Il viaggio era lungo ma il passo breve. Il vento dell'abbandono se ne fregava, il vento del perdono era sparito di nuovo, il vento del cambiamento era una stronzata colossale inventata da uno stupido via col vento.
Il caffè era pronto, ed io non lo ero. Il caffè era pronto ed io lo bevevo.

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