Stavo riflettendo sul termine Arte. Diderot diceva che l'arte era un termine astratto e metafisico, nasceva dal niente, era pura osservazione ed immaginazione che s'immagazzinava nelle scienze attraverso le regole ed i metodi o meglio dire gli strumenti. Allora mi venne in mente una personale riflessione : che tutte le cose della nostra vita fossero arte e possedessero ognuno sia una pratica che un teoria? Che fossimo tutti oggetto di discussione naturale e niente prescindesse dal fattore NATURA? Avevo pensato che allora ogni cosa che accadesse contro la mia volontà fosse frutto delle mie impossibilità e quindi non dovevo affannarmi tanto a capire ma dovevo restare nel non capire perchè era così che doveva andare a prescindere dai miei sforzi. Era tutta una logica senza fine applicata alla mia vita vera, al mio reale, ai miei sentimenti, e quelli potevate giurarci, erano veri da fare schifo. Immagazzinavo concetti che forse non mi sarebbero serviti a niente o forse avrebbero aperto delle prospettive di vita che neanche io avrei mai potuto immaginare prima d'ora. Sentivo che era sulla strada sbagliata con la bussola esatta; guardavo la strada e sapevo che prima o poi avrei trovato il cartello che mi serviva, il tassello giusto, quello che mi avrebbe permesso di integrarmi giustamente nella mia vita. Allora avevo pensato agli amici che non facevano più parte della mia vita. Avevo pensato a Giuseppe che era stato strappato alla vita troppo presto e mi ero data la mia personale spiegazione che forse non c'entrava niente un Dio buono o un Dio cattivo, forse doveva solo andare così perchè evidentemente nei suoi giovani anni lui aveva già raggiunto tutte le conoscenze massime che la vita gli avrebbe potuto offrire, e allora decise solamente di emigrare in un altro posto, dove l'infinito terrestre era solo una barzelletta molto comica in confronto a quello che sarebbe stato e che sicuramente è in questo momento. E poi avevo pensato a tutti quelli che erano andati via senza una spiegazione, che avevano deciso così dal nulla di girarmi la faccia in mezzo alla strada, di escludermi dal loro cuore ammesso che nel loro cuore io ci sia mai veramente entrata, e stringendo le spalle mi ripetevo che forse avrei potuto applicare loro un corso del riciclo; non avevano avuto un andamento lineare con me, facevano un passo avanti ed uno indietro e chissenefrega io dovevo continuare a camminare con le mie gambe nonostante avvertissi un profondo senso di inesistenza dentro al petto. E poi avevo pensato a quanto fossimo dannatamente creativi nel mettere tutte queste parole assieme e dargli un significato di ARTE. Allora su questa terra eravamo tutti artisti ognuno a suo modo? O eravamo solo dei poveri illusi che credevano di conoscere tutto, dalle cose più banali ai misteri più reconditi che l'universo celasse?Eravamo viaggiatori in cammino, a piedi nudi sull'asfalto, rasentavamo il cornicione della nostra demenza giorno dopo giorno, alternavamo giorno di ordinaria follia a mesi pieni di vita quasi come sbocciassimo assieme alla primavera. A tratti sembravamo pigri ed a tratti correvamo veloci come il vento affamati di sapienza, di emozioni, di sensazioni. Percepivamo odori strani, profumo di caramelle alla menta, odore del pane caldo appena sfornato, brezza leggera del venticello di luglio alle sei del mattino sul mare. Profumo di violette selvatiche mischiato ad un tenero bacio d'amore. E poi sconforto, desolazione, disperazione, crisi, lavoro, pianti, lamenti, e poi di nuovo giù a sorridere per piccolezze. E in quel frangente dovevamo capire che tutto era un capolavoro della natura e che come sempre non avremmo mai avuto una staticità nel cammino ma solo ed esclusivamente salite e discese.Allora non potevo fare altro che domandarmi : eravamo davvero noi gli artefici del nostro destino, o noi potevamo comandare solo ed esclusivamente sulla nostra coscienza di viaggiatori?
Spiegami come il lume della notte,come il delirio della fantasia. Spiegami come la donna e come il mimo, come pagliaccio che non ha nessuno. Spiegami perché ho rotta la sottana: uno strappo che è largo come il cuore.
lunedì 28 maggio 2012
Arte per avere arte tra le mani.
domenica 27 maggio 2012
Che t'importa se fuori piove. Tu vai.
Tu la domenica la lasci nello spazio compreso tra una fragola e una risata. Ti siedi a tavola come se niente fosse immaginando la coreografia di un film che non è ancora avvenuto, ma tu lo pensi lo stesso, lo senti dentro di te, vedi la realtà distorta che si piega su una triste realtà incupita da un cielo nero. E sta per piovere.
Il solito pranzo domenicale, le solite discussioni a tavola, il telegiornale che non recita niente di nuovo e niente di buono, i falsi sorrisi e i perbenismi interessati. La tua testa sta per scoppiare mentre imbocchi la prima forchettata del piatto caldo. Non sai se ridere o se piangere, ma in fondo sai che non ti manca niente, che so, hai aria nei polmoni che ti permette di respirare, hai ancora occhi per vedere le bruttezze del mondo e altrettanto hai occhi per vedere quello che di più sincero ti si presenta davanti agli occhi.
E poi cosa riesci a vedere? Riesci a scorgere che l'amore è ancora nell'aria nonostante ti passano davanti milioni di scene orrende, e quel mare è ancora lì che ti aspetta perchè vuole regalarti qualcosa di decente.
Ti prendi la premura di capire gli altri mentre nessuno si è mai preso la premura di scorgere quello che c'è nella tua testa. Avevo pensato che il cuore è un organo magnifico ma non sapevo bene come funzionasse ma ho sempre creduto che la sua magnificenza fosse un capolavoro della natura, o di Dio, o di chi per lui lo avesse inventato. E sentivo che il cuore pompasse sino allo sfinimento, impazziva per l'odore delle fragole nel frigorifero, impazziva per le vertigini che sentivo nel cervello quando chiudevo gli occhi e per un secondo non pensavo a niente, al vuoto, al nulla sospeso nel baratro dell'indifferenza generale.
Impazziva per lo scorrere del tempo mentre tutto intorno sembrava non mutare minimamente. Impazziva per qualcosa che oramai era passato, ma in fondo il passato era la cosa migliore che ci potesse accadere nella vita.
Avevate mai pensato al passato come se fosse il frutto esemplare del presente, o lo avete sempre immaginato come monito di ricordo, di sofferenza e di inquietudine?
Il passato era sempre stato visto con suprema superficialità : "Quando ero piccola stavo meglio"- "quando studiavo al liceo era meglio dell'università"- "quando l'Italia andava bene la mia famiglia era ricca". Tutto era diventato un "quando", tutto si rifletteva nel passato come se il futuro, il presente, non potessero offrire niente di buono alla vita di ognuno di noi. Ma non ci avevo mai pensato in diversa prospettiva. Non avevo mai pensato alla storia del corso e ricorso che permetteva ad ognuno di rivivere il bene e il male più e più volte nella stessa vita. Ed era lì che si celava il mistero dell'esistenza dell'uomo : il vivere e rivivere sempre le stesse cose, più trasformate, più belle, più brutte. Ma riviverle a nostro piacimento ogni volta che lo desideravamo.
Eravamo maghi in una terra sconfinata, avevamo la possibilità di viaggiare, di vedere luoghi sconosciuti o di rivedere sempre gli stessi paesaggi ma con occhi diversi. Potevamo immergerci per ore nella vasca da bagno sognando un mondo all'altezza dei nostri ideali oppure potevamo buttarci dal quinto piano di un palazzo ponendo fine ai nostri dissapori. Avevamo la fortuna di fare tutto ciò che desideravamo eppure lo sprecavamo inghiottendo bocconi amari che incrementavano la nostra rabbia.
Eravamo pazzi in mezzo ai pazzi, strani mischiati al dolore di una nostalgia che nessuno avrebbe mai capito, e la delusione maggiore che ci portavamo dietro e dentro era quella di non riuscire ad essere chi avremmo voluto essere. Mai. Allora preferivamo chiudere le amicizie, preferivamo ignorare chi ci amava, volevamo tutto e non conquistavamo niente. Scalavamo le montagne ma si rivelavano solo colline. E tu eri talmente insoddisfatto dalla voglia di non essere che eri senza neanche rendertene conto. Perdevi tempo dietro una ex fiamma che non capiva quanto valessi, ti sposavi con una donna che non sapeva neanche quanti fratelli avessi o che musica ti piacesse, facevi figli per sentirti uomo ma eri solo un piccolo peter pan che non capiva bene qual'era il senso della vita. Ed io, restavo immobile a sospirare su quel muretto sperando che tu arrivassi da un momento all'altro a rallegrami la giornata. Io ero quella che non si era arresa, quella che ci aveva creduto, io ero quella che credeva ancora alla felicità e la sognava ad occhi aperti nonostante il pessimismo le invadesse le arterie. Eravamo quelli che si rassegnavano alla giornata negativa ma che spaccavano l'aria a furia di gridare. Eravamo quelli che non importava la meta, ma il viaggio.
mercoledì 16 maggio 2012
L'anima urla perchè ha fame.
"L'estate che veniva con le nuvole rigonfie di speranza, nuovi amore da piazzare sotto il sole. Il sole che bruciava, lunghe spiagge di silicio e tu crescevi, crescevi sempre più bella".
E mentre sembrava che per Rino Gaetano il tempo non fosse mai passato, qui ci ritrovavamo a piangere quello che non avevamo e ad aggrapparci ai ricordi di quello che un tempo ci faceva felice.Le onde danzavano a piedi nudi sul mare e noi eravamo rimasti con un pugno di mosche scappate via davanti all'infinito mare che non ci aveva lasciato neanche una speranza. Che cosa stavamo aspettando? Quale pena ancora la vita ci avrebbe inflitto prima che tutto potesse tornare alla "normalità"?.Le sigarette erano finite, la bellezza era svanita, l'amore ci aveva scossi a tal punto da non saperlo più riconoscere se sarebbe tornato, il mondo era diventato un DIVENIRE, divenire qualcosa, essere senza apparire, apparire per essere, inventarsi per scoprirsi, amare per soffocare il dolore, piangere per paura di ridere, fare sesso per evitare di fare l'amore, aggrapparsi ai propri capelli per non uccidersi.Cosa serviva ancora a questa vita così affannata e piena di rancori. Forse bisognava rallentare e respirare un po' di più, o forse c'era bisogno di lasciare che il tempo scorresse inesorabile trapassando il girone della sofferenza che in questo momento aleggiava sulla mia e sulla testa di molte persone. Il caldo avanzava quasi a volersi imporre prima del tempo prestabilito, ed io ero ancora lì seduta ad aspettare che l'amore venisse a prendermi a schiaffi e a destarmi dalla mia apatia. Volevo veramente essere salvata o era solo una scusa per restare ancora un po' a crogiolarmi nella mia solita monotonia viziosa?
Volevo che qualcuno mi amasse per quella che ero, o mi bastava solamente amare senza ricevere niente in cambio? Mi sentivo sconfitta come sempre guardandomi nello specchio riflesso, che di me intravedeva ben poco oramai. Sentivo che l'ansia prendeva sempre di più il sopravvento, ma poi ansia di cosa? Del futuro, delle incertezze, delle lacrime che non riuscivano più a scendere, delle emozioni che non provavo più, della malinconia o forse meglio nostalgia di quando mi svegliavo al mattino e trovavo il tuo messaggio sul cellulare che mi faceva sentire amata e protetta. Ma poi le cose cambiano, la gente si trasforma, si evolve, diventa stronza, ti abbandona e tu ti ritrovi così, a guardarti nello specchio e a non credere più a niente, a ridere di te stessa, o meglio: te stessa che ride di te.
Mi sentivo persa di una perdizione inaudita, di quelle sensazioni che difficilmente ti abbandonano perchè forse hanno sempre fatto parte di te e solo ora sono venute fuori.
Sentivo che quella donna con i capelli neri e le sopracciglia sottili non esisteva più, avevo provato a cambiare colore dei capelli ma era servito a ben poco. Non esisteva più quella ragazza in cerca dell'amore che girovagava come una gazza ladra qua e la. Adesso tutto era diventato nero come la pece, tutto aveva assunto sembianze mostruose che nessuno poteva capire; la gente si sforzava di capire ma cosa avrebbe mai potuto recepire da una primavera che aveva cessato di far fiorire i suoi ciliegi?
D'altronde come si può pretendere che in inverno un mandorlo fiorisca? Era la stessa cosa, era diventata la colonna sonora della mia vita : lasciare che tutto scorresse senza cercare di arginare il fiume per come poteva farmi più comodo.
Il desiderio di provare ad emozionarsi di nuovo dinnanzi al mare era la cosa più forte che potessi desiderare in questa dolorosa mattina di fine primavera. Ma tutto intorno sembrava interessarsi di più alle mani curate, al viso pulito, ai vestiti adatti alla stagione. Tutto si perdeva nel contorno sbiadito di una città che oramai aveva dimenticato cosa voleva dire amare il dono dell'amore stesso.
Il desiderio repellente di cambiare questa vita e di modellarla a mio piacimento era più forte di qualsiasi tempesta, di qualsiasi uragano e tutto urlava e sbatteva contro le pareti della stanza che erano diventate nere, scure, buie, e gridavano, la notte non trovavano pace e al mattino sembrava fosse passato un tornado nelle ore precedenti che aveva distrutto tutto. TUTTO.
E tu, mio dolce amato, eri sempre più lontano dalle mie labbra, non restava che il ricordo di baci salati nascosti da qualche lenzuolo leggero e fresco di primavera; non restava che l'immagine di essere stata con te anche solo per una volta e di aver sentito le tue mani tra i miei capelli che oramai erano stanchi di sentire la tua mancanza.
E poi sentivi che una spada ti trafiggeva l'anima spaccandola in mille dolorosi pezzi che tu non avresti mai più avuto il coraggio di ricomporre. Amore mio, la vita sembra sempre quella che non è. E certe sere mi accarezzo le mani pensando a quando erano altre mani a sfiorarle, e mi aggrappo al ricordo di quando inclinavi la testa per farti dare un bacio sulla guancia quasi come aspettassi con ansia che il mio viso si appoggiasse al tuo per farti sentire quanto amore eri.
Le nuvole bianche avanzavano all'orizzonte ed io ero sempre più triste del tempo che passava e del tempo sbiadito che ci allontanava quasi come fossimo due perfetti estranei che non sapevano più chi erano e cosa avevano condiviso assieme. Gli occhi si riempivano di lacrime mentre mi ritrovavo sola ad affrontare la mia solitudine interiore che mi stava mangiando viva. Il cuore si era spezzato, le calze si erano bucate, le scarpe erano rotte ma camminavano ancora, i vestiti erano pieni di polvere e le braccia erano stanche di abbracciare un cielo troppo grande che fuggiva via da ogni malinconia.
Un senso di vuoto attraversava il respiro affannato di chi ogni giorno faceva le scale. Un tremolio sulla punta delle dita resisteva all'emozione di correre lontano e arrivare ad abbracciarti mentre tutto intorno scoppiava l'estate. La testa si era fatta pesante, il pianoforte suonava ancora per noi senza che ce ne accorgessimo e un pensiero volava incessantemente a ciò che era stato e che forse era solo niente.
Il silenzio mi gridava contro prendendomi a schiaffi sul viso, le guance erano arrossate, la testa si era fatta pesante, le braccia erano piene di lividi che non sarebbero mai più andati via e lei dall'altra parte continuava a ridere; mentre mi truccavo lei si girava dall'altra parte con gli occhi e rideva di me e delle mie disgrazie come se la vita le avesse regalato una soddisfazione immensa. Come era possibile che me stessa ridesse di me? Non riuscivo a spiegarmi come potesse accadere che la mia stessa me vivesse felice mentre io mi affannavo a portarla avanti al meglio.
-Non riuscivo a capire come fosse possibile che io amassi senza mai essere amata.
sabato 12 maggio 2012
Un pensiero trovato per caso su strada.
Giocavo in mezzo ai matti mentre il resto del mondo se ne stava fermo immobile ad aspettare che io facessi un passo falso. Avevo quella maledetta ape tra i capelli che continuava a farmi correre all'impazzata, a farmi girare su me stessa, a strapparmi la pelle di dosso; e lei non andava via, aveva preso casa tra i miei capelli un pò bianchi, un po' stanchi, e adesso troppo corti.Esisteva ancora gente che parlasse di lanterne, lanterne di sogni? Ma cos'era un sogno? Se chiudevo gli occhi riuscivo a percepire cosa fosse un sogno, quale era il mio sogno. Tutto si perdeva nell'attimo in cui riuscivo a fare respiri profondi in cui sentivo la vita che mi penetrava nelle ossa, s'insidiava nella mia colonna vertebrale e mi bruciava il veleno che io volevo lasciare a circolare ancora un po' dentro al mio corpo.Quel veleno a me caro, quelle ossa oramai violentate, quel cuore oramai stuprato e ridotto in brandelli di cera sciolta sotto al sole. Ma il sogno era chiudere gli occhi mentre fuori il cielo era pieno di nuvole e riaprire gli occhi dopo 2 minuti e rendersi conto che c'era un raggio di sole sul pavimento della tua stanza, proprio lì, sotto ai tuoi piedi. Era un miracolo. Era un miracolo che vedessi il sole proprio quando la speranza era sparita per sempre. Stavo sognando ancora, tra meraviglie e disgrazie e vivevo nel caos totale, nel caos calmo che all'impazzata lottava per ogni cosa e per ogni persona.Allora sognare non aveva prezzo, sognare consisteva nel socchiudere le palpebre e lasciare che l'amore entrasse da ogni piccola o grande apertura, ma quel carcere era solo ben arredato. Le sbarre c'erano e nessuno le vedeva e il problema sostanziale stava diventando proprio questo : nessuno si accorgeva che c'erano delle sbarre, che la porta era chiusa a chiave e quella chiave non l'avevo di certo io che ci vivevo dentro.
Game Over.
Le sembrava che avesse il mondo ai suoi piedi. Aveva l'amore ricambiato dell'uomo più speciale della terra, aveva il denaro che le permetteva di andare dove voleva e fare ciò che desiderava. Aveva amicizie esclusive, roba da pochi eletti. Aveva una buona carriera scolastica. Aveva una fede. Poi d'un tratto tutto scomparì, l'amore aveva lasciato posto ad uno straziante vuoto che riusciva a colmare solo strappandosi i capelli giorno dopo giorno, e quando i capelli finivano lei doveva reinventarsi nuovamente e così si graffiava le spalle con le sue unghia affilate come coltelli. E quando il dolore inflitto dalle sue stesse mani cessava, doveva trovare un altro modo e così via finchè non se ne sarebbe stancata da sola. I capelli erano rimasti per strada, tra le urla e i pianti silenziosi che aveva regalato a numerosi passanti per la strada sopratutto i primi tempi. Le sue spalle avevano cancellato col tempo i segni di uno svenimento e di un esasperazione maledettamente DANNATA. Le sue dita erano tornate normali, non c'era più la voglia di farsi del male, aveva iniziato a sperare. Ma la speranza l'aveva uccisa dentro senza che neanche se ne accorgesse. Aveva finito i soldi ed il viaggio era rimasto a metà, senza un perchè. Milioni di domande a cui forse, non avrebbe mai potuto rispondere. L'amore l'aveva abbandonata, il dio denaro aveva riposto le sue fortune in tasche migliori e forse più capienti. Le sue amiche erano andate via per sempre, la sua carriera non era più nulla, e la sua fede vacillava sempre di più finchè un giorno non decise di smettere con tutto.Aveva amato la società, non le importava se la gente fosse cattiva, pettegola o egoista, a lei piaceva stare tra la gente, poteva anche scendere in pigiama ma non le importava, lei amava vivere tra la folla; oggi odia quella folla, oggi se potesse ucciderebbe ad una ad una tutte le componenti di un triste sabato sera fatto di passeggio, di birre a non finire e quanto altro.I bambini per strada continuavano ad urlare inseguendo un pallone e volendo imitare Del Piero. Le mamme erano pronte ai fornelli per cucinare le migliori prelibatezze per i loro mariti che tornavano stanchi da lavoro. Il sole era pallido, o forse nero invisibile e carico di amarezza. Il polline girava qua e la nell'aria pronto a scagliarsi contro le più deboli. Le finestre restavano aperte, le porte restavano aperte, i cuori erano aperti, e le menti continuavano a vagare singolarmente in viaggi misteriosi che nessuno poteva capire. Il viaggio era personale, non si poteva portare con sè l'accompagnatore. Ma lei aveva perso tutto, quale viaggio le era rimasto? Che sofferenza si sarebbe inflitta questa volta anzichè reagire? Chi lo sa, il tempo era ladro di tutto, rubava attimi ai respiri, tagliava in due il sole e lasciava che si ricucisse solo, lentamente, sofferente. Era strano come ogni cosa quando si stava male prendeva forma. Tutto aveva un suo perchè, persino il rumore dei tasti del computer sembravano incazzati e rumorosi, era fastidioso pensare che quel rumore di tasti stesse esprimendo dei concetti chiave che non erano banalità.Un filo di vento attraversava l'atmosfera mentre una fitta allo stomaco la disturbava. Chissà che non sarebbe arrivata la pioggia a lavare via i panni sporchi che si trascinava per casa e addosso da tutti questi anni. Ogni tanto pensava alla sua fede perduta, forse la possedeva ancora, o forse la stava ignorando volontariamente, chissà. Ma Dio con lei era stato sempre fedele, forse il contrario non lo si poteva proprio dire però.Perdere ciò che si ha fa male? Forse fa più male desiderare ciò che non si può avere, rassegnarsi al fatto che nella vita alcune labbra non saranno mai definitivamente le tue, rassegnarsi alla mediocrità del paesello in cui vivi, della mentalità antica che oramai non va di moda, rassegnarsi ad essere inetti per sempre, rassegnarsi a non sperare che esista la felicità perchè per ogni porzione di cibo buono ci sta un bicchierino di veleno da mandare giù come accompagnamento. Rassegnarsi che la vita è questa, e che se ti giri un attimo hai finito. Sei perso. Non ritroverai mai più te stesso.
giovedì 10 maggio 2012
Il coltello sul pavimento.
Che fai, te ne vai e sbatti via la porta? Come se tutto potesse essere semplice e gestibile? Sbagli, io ti amo, io mi sono innamorata di te, di quello che rappresenti, di quello che fai, anche di quello che non fai, o fai con qualcun'altro. Pensi che socchiudere la porta mentre mi urli contro che non ho capito niente potrebbe servire all'amore per abbandonare il mio cuore oramai sporco delle tue mani, oramai disintegrato da mille pretesti, oramai stanco e credulone come è giusto che sia.Guardavo quel passeggio dalla finestra della stanza, le macchina parevano andassero a rallentatori, le persone per strada sembrava si fossero fermate a riflettere su qualcosa che non esisteva o era troppo lontana da noi. Il cuore rallentava, il soffitto si abbassava, le pareti sembravano troppo strette per contenermi ed io stavo urlando a squarcia gola senza che nessuno potesse sentire il mio dolore.Avevo visto il coltello per terra sul pavimento gelido in una sera di quasi estate, i miei piedi nudi oramai erano pieni di polvere, assetati di viaggi, le mie gambe erano stanche e la mia schiena crollava a pezzi, ti stavo amando sotto i lampioni che non ci riflettevano, ti stavo amando tra le dita sporche di sangue, ti stavo amando tra i capelli che non accarezzavi mai.Chiudevo gli occhi e immaginavo anche solo per un attimo che tu fossi ancora qui accanto a me, ma poi riaprivo gli occhi e l'unica cosa che sapevo fare, era usare l'indice per asciugarmi gli occhi affranti.Odiavo il rumore della mia televisione, odiavo quella casa tanto stretta, stava crollando il mondo, c'era il terremoto, ed io bloccata dalla paura non riuscivo a scappare.Tu avevi sbattuto via la porta di casa, te n'eri andato ed io ero rimasta immobile senza dire niente, avevo pianto tanto quel giorno, mi ero disperata tra me e me chiedendo persino aiuto a Dio.Poi tu eri tornato ed io ti avevo mostrato il mio sorriso migliore, ti eri disteso accanto a me, mi avevi preso la mano, e sembrava che tutto fosse passato, ma era solo una commedia, una stupida commedia che sapevi recitare bene, io ti amavo, mi sbatteva l'amore nel petto come un animale inferocito che deve uscire a tutti i costi dalla gabbia, e più ti amavo più andavi via sbattendo la porta di casa. Mi dicesti che potevo essere il tuo miracolo ma io sapevo già che tu saresti stato la mia condanna a morte. Lei nei vetri rideva, mi seguiva ovunque, anche quando giravo in auto per non pensarti, lei era anche nello specchietto retrovisore, io la vedevo, lei mi osservava e rideva, mi sussurrava di correre, di farla finita, di andarmene via, aveva tante soluzioni sbagliate che io non ascoltavo, riuscivo solo a piangere mentre lei rideva. E sicuramente lei non ti avrebbe amato se fosse stata al posto mio. Non avrebbe amato le tue promesse, non avrebbe creduto alle tue parole, ti avrebbe cambiato la serratura dopo la prima porta sbattuta in faccia. Ma io non ero lei, e lei non era me, eravamo insieme, eravamo la stessa carne in diversi corpi, o forse anche i corpi erano gli stessi, ma perdio io ti amo, e questo amore mi lacera il cuore perchè significa vederti ogni giorno, sentirti ogni giorno, passare ingenuamente il naso tra i tuoi capelli, e non potere fare niente. Questo amore significa accettare ogni giorno che tu macini chilometri mentre io sto seduta sul letto a piangere aspettando il tuo ritorno. Lo strazio di non averti, la gelosia di possederti ad ogni costo, il coltello sul pavimento, le unghia troppo spezzate che graffiano, le mie spalle troppo segnate e piene di sangue, le tue spalle troppo stanche e piene di lividi, i tuoi occhi che mentono ed i miei che non trattengono le lacrime. Il coltello sul pavimento. Ho assassinato me prima che l'amore per te lo facesse. Ma è servito a poco. Ti desidero più di prima, anche con mille piaghe nella testa. Non c'è altro posto al mondo dove vorrei essere se non tra le tue mani, sui tuoi baci, e nelle tue caviglie.
Lo specchio sporco.
Ripuliscimi tutti gli specchi, cerca di pulirli bene, non lasciare neanche una macchia, un alone, neanche un millimetro di vetro appannato.Ripuliscili bene, poi specchiati e dimmi come ti vedi. E se non dovesse cambiare niente non ti preoccupare, imparerai che nella vita non si cresce ripulendo lo specchio, imparerai che puoi ottenere ciò che vuoi, sempre, ma a quale prezzo? Inseguirai i tuoi sogni in capo al mondo, ti ritroverai a riflettere seduto in riva all'oceano ma, a quale prezzo?Imparerai che la strada è lunga, tortuosa, piena di buche nascoste da foglie autunnali, imparerai che l'amore non è come sembra, che le parole sono buttate nel vento, che i gesti oggi ci sono e domani chissà [...]Imparerai che la vita è vita, non ci sono vite belle o vite brutte, ci sono vite, cuori che battono nel petto, sangue che scorre nelle vene, e non ci sarà distinzione di sesso, di età, di orari, di tempi; non ci sarà niente che ti renderà diverso o simile a qualcun'altro.E poi saprai scegliere le cose che ti fanno stare bene, e amerai le cose che ti hanno ferito, che ti hanno abbattuto, e fumerai una sigaretta, la vedrai lì tra le tue mani fumanti, tra le tue unghia sporche di terra dopo che hai lavorato nei campi per ore senza stancarti mai; la vedrai lì che se la fuma il vento mentre le prime margherite cominciano a seccarsi e tu non puoi farci niente, puoi solo respirarne ancora un po' il loro sapore.E ti chiederai : "Chi me l'ha fatta fare?"- E non saprai darti una risposta, restando impassibile davanti al vuoto, dentro quella voragine che tu stesso ti sei creato.Forse tornerai a casa e ti farai una canna, o forse berrai un po' di rum sperando che il suo veleno penetri nelle tue vene e ti anestetizzi un po' di dolore, o forse ancora piangerai sul letto guardando il pallido soffitto bianco che tuo padre non ha mai voluto dipingerti di un altro colore. E quel bianco non ti consolerà, sembrerà un nero sporco di ruggine che ti distrugge le lacrime e ti graffia il viso ad ogni goccia gettata via dal tuo corpo.Penserai di avere amato anche solo per un secondo, di aver amato lui che era così bello, ma che l'amore ce l'hai fatto una volta sola, penserai che tutti quei visi amici in fondo non erano poi così AMICI; ti scalderai il cuore lasciando che il tuo capo si chini sulla scrivania mentre cerchi di pensare a cosa fare e lascerai che i tuoi buoni propositi se ne vadano a puttane lentamente mentre il mondo fuori festeggia l'arrivo dell'estate.Continuerai a pulire quello specchio sperando di rivederti ancora, anche solo per un attimo bello, o bella chissà, e scoprirai invece che hai mille identità a cui non saprai dare un nome.Ti abbraccerai le spalle chiudendo gli occhi e pensando a quella mano che ti sfiorava mentre tu cercavi le sue labbra, sentirai il rumore delle macchine per strada che scalpitano in preda al caldo nel rumore del clacson e ti chiederai "Perchè io non sono giù per strada a condurre una vita diversa e frenetica come la loro". Ma poi ti ricrederai perchè imparerai che l'apparenza inganna e che ognuno ha la sua vita di merda buttata nelle cose più banali. Allora ti farai prendere dalla chimica e sceglierai di restare sul divano a mangiare chili di torta pasticcera, o chissà montagne di pizza e fiumi di birra. Lascerai che il passato urli alle tue spalle mentre tu seduto sul muretto lungo il fiume ci riderai sopra e penserai : "quanto sei coglione caro passato, urla tanto non ti sento".Imparerai che le crisi peggiori non sono quelle che ti fanno vedere in televisione, ma le peggiori sono quelle che hai con te stesso ogni giorno. Ti mancherà il fiato per almeno un minuto al giorno, sentirai lo stomaco come se stesse morendo dentro di te, stringersi, rigirarsi su se stesso, il cuore si fermerà, le lacrime ti strozzeranno la gola, il sapore dei baci ti passerà davanti, il profumo di quel collo nudo ti sbatterà sul viso, le mani sui seni, le gambe intrecciate, movimenti lenti, poi veloci, e poi via, il respiro se ne andrà, ti sentirai il petto diviso in due parti che scappano e non si attraggono più, penserai di morire. E poi passerà. Ritornerai come prima, verserai qualche lacrima e tutto sarà finito. Domani sarà lo stesso, ma avrai tempo per pensarci. O forse non ci penserai più e piano piano dimenticherai quanto male fa non sapere dove andare, non sapere cosa fare."Questa strada ti da l'idea del viaggio" disse un amico una volta, ma in quel viaggio tu mi accompagneresti bendato? Forse avrei dovuto rispondere così, o forse no.Lascia che i tuoi piedi vadano dove gli pare, in qualsiasi momento, io lo so, che se tu vuoi, imparerai.Imparerai che non c'è mai fine, che neanche all'ombra di un cipresso si può riposare in pace, perchè ne sarai allergico, e ridendo beffardo di te, disteso sotto di esso ti farà starnutire fino allo sfinimento. Imparerai che le bugie non servono a niente, che la vita è una sola, e va vissuta come viene senza convenzioni e un giorno imparerai che io ti ho amato silenziosamente senza disturbarti perchè la tua felicità era più importante della mia. E non tutti impareranno questa lezione.
lunedì 7 maggio 2012
Un battito in più.
Era tutto vero, eri lì, c'eri e non ci potevo credere. Non ci potevo credere che ho deciso di tenere gli occhi aperti per tutto il tempo che ti ho avuto affianco. Non potevo pensare che era successo veramente. Ma che cos'era? Amore, passione, affetto, sincerità, bugia? Io non lo sapevo cos'era, sapevo che dovevo farlo, sapevo che il mio cuore esultava solo sentendo un respiro, solo guardando una risata o lo sguardo assente che avevi mentre la stanchezza ti prendeva da tutte le parti. Avevo il cuore in gola, sentivo la pressione bassa, mi tremavano le gambe, mi sudavano le mani. Mi perdevo nel verde dei colori che non avevo mai visto, mi perdevo in arie diverse , nel verde di un salice piangente, nel respiro di un cipresso, nella malinconia di qualche foglia ingiallita caduta a terra e calpestata milioni di volte al giorno.Mi piaceva vedere il modo in cui camminavi, il mondo in cui parlavi mentre io guardavo tutto ciò che avevo attorno senza capire che quel tutto mi stava entrando dentro senza che io lo volessi, senza che io gli dessi il permesso. Ero persa, persa di un profumo, persa di una promessa mantenuta al quale non riuscivo a credere, era persa in tutto quello che c'era e che non c'era.Mi piaceva sognare ad occhi aperti e avvertire la stanchezza solo alla sera quando tutto sembrava perfetto. Una mano, un abbraccio, un bacio, una carezza, un sorriso, io avevo bisogno di provare qualcosa di diverso da quello che provavo sempre, avevo bisogno di scappare da quella me nello specchio che non faceva altro che ridere, e continuava a ridere beffarda quasi a volermi dire che la mia vita non sarebbe cambiata mai, che sarei rimasta condannata a vita in quel vortice di incazzatura perenne.La società mi scivolava dalle mani, la Juventus era diventata Campionessa d'Italia, ero tornata per restare dove non volevo restare, dove non sentivo radici profonde, il cielo si era chiuso in un grumo di pioggia e lacrime, il mare era mosso e non voleva sentire ragioni, la distanza era tornata presente nella mia vita, la mancanza sbatteva alla porta ed io non avevo il coraggio di aprirle, mi avrebbe fatto troppo male.Stavo già male, mi veniva da piangere, da sbattere le porte in faccia a tutti, mi veniva da scappare per restare allegra come era successo poche ore prima. Io volevo stare bene, volevo che la gente mi vedesse proprio come tu avevi visto, allegra, sorridente, e come cazzo facevo ad esserlo in una terra che non sentivo la mia terra? Tra gente che non sentivo vicina a me.Mi piaceva vagare in mezzo a chi non sapeva neanche come mi chiamassi e mi permetteva di essere me stessa, di uscire senza trucco, di sorridere e parlare ad alta voce come mi pareva. Mi piaceva camminarti affianco. Era questa la verità, a me piaceva quello che non doveva piacermi. Ero attratta da cose che mi cadevano dalle mani. Già, io amavo ciò che non riusciva a restare nelle mie mani, ciò che mi spezzava il cuore ma nello stesso tempo lo ricuciva. Quel battito in più io lo dedicherò sempre a te. Perchè nella vita non riesco a ragionare, nella vita riesco a sbagliare, a rompere gli specchi e conservarne i frammenti.
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